Grafica stregata

martedì3agosto

Kill Hell Night

Ian si appoggiò al manico della sua enorme falce, riprendendo fiato. La leggendaria lama che non perdeva mai il filo se ne stava lì adagiata tranquilla sul selciato  mandando leggeri bagliori di un rosso sanguigno. Intorno alla falce ed al suo proprietario si estendeva uno scenario di squallore e morte: i vicoli della città vecchia erano affollati di cadaveri, ammassati l’uno sull’altro in pile insanguinate, illuminate dalla fioca luce di una luna malaticcia.
Quella era tutta opera di Ian. E di Mörsichel ovviamente. Morsichel, era stretta parente di Ragnarock, la lama messaggera dell’apocalisse: la falce sulla quale Ian si stava appoggiando infatti, era stata costruita con il legno di un albero sacro (l’unico scampato agli incendi durante la guerra di sterminio dei druidi ?!) e fondendo parte della lega della leggendaria spada con frammenti del martello di Thor (wtf ?!). Con dei genitori tanto illustri era ovvio che la falce possedesse una sua spiccata personalità. Non amava chiacchierare con il suo proprietario come sua madre, ma non era neanche muta come quel freddo monolite del padre, da cui aveva ereditato tutta la sua durezza. No, Mörsichel preferiva comunicare in modo più sofisticato: quando voleva qualcosa inviava ad Ian immagini e chiari segnali mentali, quando si sentiva in pericolo aumentava improvvisamente il proprio peso e quando era serena vibrava ronzando soddisfatta, come stava facendo ora, felice di aver aiutato il suo padrone a compiere un’altra strage. Erano fatti l’uno per l’altra: quando si parla di armi leggendarie non bisogna mai scordare che sono proprio queste ultime a scegliere il loro proprietario, così Ian riceveva spesso tributi d’amore mentali da parte della sua falce, l’arma che gli aveva salvato la vita innumerevoli volte. Ma se Morsichel è parte della leggenda il suo proprietario non è da meno: Ian si è sempre battuto per non essere un semplice strumento manovrato dalla forza ultraterrena che anima la sua arma. Ian ama definirsi un domatore, colui che ha sottomesso e ridotto all’obbedienza la più mortifera delle lame.
Ian aveva solo 19 anni quando la sua strada e quella di Morsichel si erano incontrate, ma già allora le sue spalle erano abbastanza larghe da sopportare lo sconvolgimento che ne sarebbe derivato. Ian allora non aveva questo nome, anzi non ne aveva affatto: nel villaggio in cui viveva chi non aveva un padre non aveva diritto ad essere nominato in alcun modo. Inoltre Ian era un diverso: nel borgo di uomini dalla pelle scura, con gli occhi dello stesso nero spento, capelli e barba un unico groviglio corvino, Ian spiccava per la sua carnagione chiarissima. Come se ciò non bastasse i lunghi capelli dai riflessi castani e soprattutto gli occhi di un verde intenso erano completamente alieni nel villaggio di minatori dove aveva avuto la sfortuna di nascere. Quelli che altrove sarebbero stati immediatamente riconosciuti come segni di innegabile bellezza, lì a *ç@#+ erano visti solo come un errore della natura e guardati con sospetto. Soprattutto quegli occhi chiari che avevano fama di cambiare colore al mutare del tempo: quando le vecchie del villaggio se ne accorsero lui era solo un ragazzino, ma l’accusa di essere uno stregone gli diede non pochi problemi a trovarsi un lavoro. Niesohn  lavorava da quando aveva memoria, prima come schiavo presso la famiglia proprietaria delle miniere dove lavoravano tutti gli uomini del villaggio, poi a 15 anni, quando il suo aspetto aveva iniziato a suscitare le occhiate languide della figlia del padrone, il ragazzo era stato cacciato e costretto a rovinarsi la salute scavando tutto il giorno nelle viscere della terra, dove a causa della polvere i suoi occhi erano tanto arrossati da non lasciarne distinguere il colore e la sua pelle era scura come quella di tutti gli altri.  4 anni di quella vita consumante e Morsichel si sarebbe violentemente introdotta con le sue mortifere falciate nella sua realtà quotidiana.
Quando la falce era particolarmente di buon umore, come una sposina amava ricordare al suo uomo il modo in cui le loro vite si erano unite. Ora, dopo l’inferno che avevano scatenato, la sua soddisfazione era al culmine e lo dimostrava inviando ad Ian immagini del loro primo incontro. Niesohn aveva appena finito il turno più lungo ed estenuante della sua vita alla miniera e se ne stava ritornando mestamente verso il villaggio, diretto al tugurio fatiscente che da qualche tempo si era trovato a chiamare casa. Non si accorse subito che c’era qualcosa di diverso nell’aria: la stanchezza fisica e il vuoto mentale che una vita di sofferenze gli avevano imposto lo avevano come anestetizzato, reso insensibile ad ogni nota di possibile cambiamento. Ma quando trovò deserta la strada verso la sua tana, proprio nell’ora in cui tutti gli uomini ritornavano dal lavoro, e le madri chiamavano i loro figli a casa per la cena Niesohn realizzò di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito. Il villaggio lo aspettava completamente deserto e silenzioso, le porte aperte delle case mostravano interni bui, e vuoti. Poi il suo piede scalzo finì in un avvallamento del selciato e quando lo sentì bagnato e si piegò a guardare vide le sue dita sporche di una sostanza vischiosa… del colore acceso del sangue appena disperso. Guardandosi intorno scorse in ogni scolo di ogni vicolo , tra le pietre dell’acciottolato minuscoli rivoli di sangue che si allungavano oziosamente.
Niesohn corse verso la piazzetta al centro del villaggio, il punto più alto, dove le grandi case ammassate le une sulle altre intorno alla fontana pubblica, appartenenti ai pochi benestanti arricchitisi coi proventi della miniera, avevano reso la zona labirintica e poco luminosa. Dopo l‘ennesima scorciatoia tra i vicoli il ragazzo sbucò esattamente di fronte alla fontana. Ad una prima occhiata non la riconobbe: la vasca dei suoi ricordi, sovrastata da statue e rubinetti, aveva assunto nella luce della sera una forma enorme e spaventosa, parti contorte sporgevano dove prima non c’erano, cumuli che non riuscì ad identificare si ammassavano e si fondevano tutto intorno, formando una piramide deforme e grottesca. Dalla cima di quelli che il giovane avvicinandosi riconobbe come i corpi smembrati dei suoi compaesani, gli sorrideva scintillando una grande falce, conficcata nel mezzo del mucchio.
In quel momento Niesohn non provò nulla. Non dolore per quella gente che comunque non lo aveva mai trattato come un essere umano, non ribrezzo per quello scenario rivoltante, ne paura per la presenza tangibile di qualcosa di potente e incredibilmente malvagio. Il ragazzo si limitò a guardare sorpreso i riflessi che i raggi del sole morente lanciavano sulla scena specchiandosi sulla lama di Morsichel.

sabato10aprile

Spellbound

"C'era una volta un giovane e bellissimo principe, che era stato imprigionato nella torre più alta di un antico, spettrale, castello gotico dalla sua procace matrigna che, non essendo riuscita a sedurlo, aveva pensato bene di sequestrarlo e torturarlo finchè non avesse ceduto alle sue avances..."
Alice rilesse ciò che aveva appena scritto, e rimpianse di stare usando il suo portatile e non una macchina da scrivere, perchè tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere il foglio elettronico con quello che doveva essere l'incipit di un libro per bambini, appallottolarlo tra le sue mani e scagliarlo con tutta la forza che aveva il più lontano possibile.
Non riusciva a scrivere a comando, lo aveva sempre saputo. Non era forse questo il motivo per cui la sua piccola casa editrice era fallita e per cui ora si trovava a dover accettare stupidi lavori su commissione per sbarcare il lunario? Bene, e allora se lo sapeva perchè non si impegnava di più? perchè le venivano in mente solo idee stupide? La consegna a cui stava lavorando era semplice: 120 pagine carattere Times New Roman 14, che poi sarebbero passate tra le mani dei nuovi editori, che credevano in lei meno di quanto credessero nelle previsioni del tempo, e che in nome della "childhood edition" per cui lavoravano, avrebbero ridotto qualsiasi opera gli fosse pervenuta, anche fosse stata dello spessore di un Ulisse di Joyce, in un libro per bambini. Che senso aveva spremersi tanto allora? Bhe era semplice: voleva dimostrare che non era un fallimento, che non era una di quegli scrittori che riescono a partorire un unico libro con un discreto successo per poi ripiombare nel buio da cui erano appena usciti. Alice voleva far vedere ai suoi illustri colleghi che con il suo "After School Nightmare" (quasi un milione di copie vendute, tradotto in 5 lingue) non aveva detto tutto ciò che aveva da dire, che poteva ancora tirare fuori molti buoni libri dal suo cilindro magico. Peccato che non fosse davvero così. A soli 26 anni Alice aveva già assistito all’inarrestabile prosciugarsi della sua vena creativa, tanto che ora non era affatto certa di averne mai posseduta una. Di questo, lei dava la colpa all'ennesima relazione sbagliata, a quell'ennesimo stronzo che l'aveva fatta innamorare, per poi disfarsene, come ci si disfa di un fazzoletto di carta dopo essercisi soffiati il naso. Forse Alice era una di quelle ragazze che attiravano la sfiga. O forse al contrario Alice non attirava niente, lei la sfiga se la cercava, perchè era sempre meglio che starsene con le mani in mano ed aspettare. In effetti l'idea per il suo primo (e forse ultimo) libro di successo le era venuta così: più di 8 anni prima era incappata in una disavventura di quelle che avrebbero potuto essere senza ritorno, ma che fortunatamente si era risolta per il meglio. Aveva trovato la forza di ripensare a quell'esperienza, lavorandoci sopra a lungo e aggiungendo molto di inventato, per ricavarne una bella commedia fantasy-horror, che per qualche tempo era stata il giubilo della critica. La stessa critica, aveva identificato la giovane scrittrice nel personaggio di "Leo" il piccolo giornalista. Bhe chiunque avrebbe potuto scoprirlo anche solo confrontando la descrizione fisica che lei stessa aveva fatto di Leo nel suo libro con la sua: 1metro e 60 scarso, capelli castani fino alle spalle raccolti in un codino, frangetta ribelle occhi verdi: Leo c'est moi!. Alice si differenziava da Leo solo per gli 8 anni in più ed un bel paio di tette, che le erano esplose proprio mentre muoveva per le prime volte le mani sulla tastiera del computer. Cosa altro era cambiato in 8 anni? Quando aveva finito il liceo c'era stato il breve periodo del successo, con la gente che la fermava per strada, convegni,  conferenze... e poi con i primi anni di università di nuovo calma piatta e oblio. Alice si era laureata e aveva investito i guadagni di After School nel progetto di una piccola casa editrice indipendente, che era miseramente fallita nel giro di un anno. Poi era iniziata la routine dei lavoretti saltuari, un articolo qua, una critica là, un racconto breve su una rivista di pettegolezzi ed ora era così che tirava avanti . Forse, pensava Alice, era il momento di cacciarsi di nuovo nei guai. Sicuramente ciò l'avrebbe aiutata a farle venire in mente qualche buona idea. Anzi, non importava neanche che fosse buona, ciò di cui aveva bisogno era una storia qualsiasi da scrivere, ed in fretta, prima che scadesse il temine stabilito dalla "childhood edition". Ai suoi sogni di gloria avrebbe pensato in seguito, dopo aver ricevuto l'assegno per il suo lavoro. Bene, deciso questo... non restava altro che imbattersi in un qualche casino. Quando andava al liceo non aveva bisogno di cercare lontano: bastava scrivere un articolo-denuncia sul giornalino della scuola per inimicarsi in un istante le ultime classi della scuola, i genitori degli alunni coinvolti, qualche professore e a volte anche il preside, preoccupato per il buon nome dell’istituto. Ed ogni volta erano cavoli amari: minacce, pestaggi, imboscate… se non fosse stata amica di parecchi membri della squadra di basket, sicuramente prima o poi si sarebbe ritrovata ad uscire di scuola in barella. Ma in qualche modo se l'era sempre cavata, ed era stupendo leggere la gratitudine negli occhi di tutti i suoi amici sfigatelli, ogni volta che i loro aguzzini dovevano passare un brutto quarto d'ora coi carabinieri, a causa di ciò che lei scriveva nei suoi articoli. Era così che si era fatta tanti più amici che nemici, cosa che continuava tuttora a stupire la mezza sociopatica che era in lei. Con alcuni di questi amici era ancora in contatto: Richy stava ancora sperperando i soldi di mammà nel tentativo di completare gli studi di medicina, Claudia era da poco riuscita ad ottenere il posto di maestra che aveva sempre sognato, e Freak gestiva quel malfamato bar in periferia... Ma certo, il bar di Freak! Cosa poteva esserci di meglio per raccattare qualche storia strana se non una bettola nella zona peggiore della città? Ok forse non era l'ambientazione ideale per una storia per bambini, ma meglio di niente! D’altronde se Tim Burton infila di continuo scheletri e cadaveri nei film Disney, perché lei non poteva inserire camionisti tatuati e donnine facili in una storia per bambini?! Così Alice si appoggiò la giacca sulle spalle, si infilò in fretta gli stivali e, senza neanche prendersi la briga di spegnere il computer, afferrò la borsa e si precipitò in strada. Fermò al volo un taxi e disse al conducente l’indirizzo dello squallido viale vicino al porto dove si trovava il bar di Freak. L’uomo la squadrò da capo a piedi e le chiese: “Ma ce li hai 18 anni? Lì non ti ci porto se non mi fai vedere un documento”. Alice sospirò e si mise a frugare nella sua borsa in cerca del portafoglio… ormai era abituata a quel trattamento a causa del suo aspetto e della sua statura, ed anche quando si truccava nel modo più pesante che poteva senza sembrare un travestito, la gente che non la conosceva le dava al massimo 21 anni. Porse la carta di identità al tassista che, come tutti quelli che prima di lui avevano visto quel documento, sgranò gli occhi leggendo il suo anno di nascita, e partì a razzo senza dire una parola.
La cosa buona di conoscere il barista di un locale è che non si avevano grane per quanto riguardava il controllo di routine dei documenti, pensò Alice, mentre scendeva le scale dell’ingresso sgangherato de “Il Buco”, nome quanto mai appropriato per il pub. Il locale appariva come un misto tra un garage ed una vecchia cripta, illuminato da neon che gettavano una luce squallida tutto intorno al lungo bancone malandato coperto da alcolici. Dietro il bancone la gigantesca mole di Freak sormontava gli avventori stravaccati sugli sgabelli, i quali si girarono tutti contemporaneamente verso l’ingresso appena Alice mise piede nel pub. Appena imbarazzata per quell’improvvisa attenzione, Alice filò dritta dietro al bancone dove Freak la stava già aspettando a braccia aperte.
Come accadeva sempre quando i due si incontravano, Alice si ritrovò sospesa a 50 centimetri da terra tra le braccia di quell’armadio che era la sua guardia del corpo più fidata quando faceva le superiori.
“Schizzetto! Ma non cresci mai?!”
“Ma io sono giusta! È il mondo che è troppo grande! Guardati! Quand’è che smetterai di essere così enorme?!”
“Ahahah, e te non hai ancora visto come è diventato mio fratello! Mi supera di 10 centimetri!”
“Allora preferisco non vederlo!”
Ridendo Freak diede un pugno al bancone che fece tremare tutte le bottiglie sugli scaffali, poi si informò sul motivo per cui la sua protetta si era imboscata nel suo poco raccomandabile pub.
“Ho bisogno di storie da raccontare” disse semplicemente Alice ed iniziò a guardarsi intorno attentamente. Dopo l’iniziale sorpresa per l’entrata di quella che sembrava una ragazzina, gli avventori erano tornati alle loro abituali attività: chi intorno al tavolo da bigliardo, chi intorno a due donne in tacchi a spillo e calze a rete, unici esemplari del sesso debole oltre ad Alice in tutto il locale, peraltro tanto tatuate ed imponenti da essere difficilmente riconoscibili come tali. La maggior parte dei clienti comunque era semplicemente persa nel proprio bicchiere.
Freak accolse l’affermazione di Alice con uno dei suoi ghigni: “se c’è qualcosa che qui non manca sono le storie!” vedi quel tipo laggiù con la barba e le treccine? È stato 10 anni in galera perché gestiva un giro di scommesse su combattimenti tra galli; quello depresso che esce dal bagno invece ha trovato la sua amante a letto con sua moglie, poveraccio; la ragazza che sta giocando a braccio di ferro con quell’energumeno in realtà sta solo fingendo di essere sul punto di perdere: ha vinto più vote il campionato nazionale e viene qui ogni giovedì per cercare avversari da sfidare, infatti è raro che le si avvicini qualcuno … 
-Mhmm interessante…- disse Alice, -ma non hai qualcosa di davvero incredibile? Qualcosa di più misterioso?-
-Bhe, se sarai fortunata oggi potresti vedere la persona più strana che frequenta questo bar, ma devi aspettare ancora 5 minuti. Tieni d‘occhio la porta. -
-Cioè? C’è un cliente che si presenta sempre alla stessa ora? E chi è? Un maniaco? Un serial killer?!-
-Lo vedrai presto, se oggi si fa vivo- Detto questo Freak tornò a servire i clienti lasciando Alice a ribollire nella sua curiosità.
Appena l’orologio sopra al bancone segnò la mezzanotte il massiccio portone si aprì di scatto e si richiuse lentamente. Sulla buia scalinata, intento a scendere i gradini malridotti de “Il Buco” con la stessa grazia di uno che cammina sul tappeto rosso, c’era il ragazzo più bello che Alice avesse mai visto. I capelli neri, mossi, studiatamente spettinati, appena troppo lunghi per essere quelli di un bravo ragazzo, lasciavano intravedere la perfetta forma del viso sottile, ne troppo squadrato ne troppo rotondo, un naso che era un’opera d’arte e due labbra marcate, da modella per lucidalabbra. I jeans chiari, gli anfibi, la giacca di pelle nera, vestiti non certo d’alta classe, avvolgevano il suo corpo come il miglior lavoro di un famoso stilista. Alice si girò verso il barista con gli occhi che luccicavano dall’emozione: -“ma chi è? un attore famoso?”
-“No, è solo un cliente come gli altri. Anzi, peggio degli altri, la maggior parte delle volte entra e non prende nulla. Viene solo per attaccar briga con i peggiori avventori del bar, poi vanno fuori a sistemare i conti, che io non voglio risse qui dentro, ma nessuno è mai riuscito a vederlo battersi. Anzi, nessuno dei tizi con cui si è scontrato è mai tornato qui, forse per la vergogna di essere stato battuto da un ragazzino, non so. Lui invece dopo ogni rissa fa passare qualche giorno e poi rieccolo che torna a cercare guai, sempre alla stessa ora.”-
Durante il racconto di Freak il ragazzo si era guardato in torno, per poi sedersi nell’angolo più buio del locale, continuando a lanciare in giro occhiate annoiate. Alice capiva perché l’amico lo aveva chiamato “ragazzino”, a guardarlo bene non poteva avere più di 25 anni, ma la sua bellezza offuscava qualsiasi giudizio, avrebbe potuto benissimo averne solo 18. Si rese conto che lo stava fissando, solo quando l’oggetto della sua enorme curiosità, piantò gli occhi nei suoi, di rimando. Occhi chiari, stranamente visibili anche dall’angolo buio dove si trovava lo strano ragazzo. Alice si girò di soprassalto verso il bancone, arrossendo. Bevve un paio di sorsi dal cocktail che aveva ordinato, poi, incapace di trattenersi chiese all’amico: “ma… sai come si chiama?
Freak in risposta sgranò gli occhi accennando col mento a qualcosa dietro di lei.  Ci volle un istante perché Alice capisse, giusto il tempo perché chi le era dietro le mettesse una mano sulla spalla e rispondesse alla sua domanda: -“Mi chiamo Lawrent”.
Alice si girò lentamente, sorridendo imbarazzata, al ragazzo che un istante prima era in fondo al locale. Lui la fissò senza ricambiare il sorriso, ma con un’espressione tra il sorpreso e lo scocciato, si sedette sullo sgabello di fianco al suo. -Ora, posso sapere il tuo nome, visto che tu conosci il mio?-
-A-Alice-, balbettò lei, mezzo strozzandosi con il suo cocktail.
-Alice- ripetè lui.- e cosa ci fa una come te in questo…ehm… posto?- continuò, muovendo una mano ad indicare il locale, con la stessa faccia a tratti sorpresa, a tratti scocciata.
Prima che Alice riuscisse a dar voce ai suoi pensieri, poco coerenti, Freak rispose per lei: -è qui per salutare me, siamo vecchi amici, perciò vedi di non darle fastidio, è chiaro?-
Alice sarebbe voluta sprofondare nel suo sgabello. Lawrent invece sorrise, un sorriso da fotomodello, che abbaiò completamente Alice e sembrò scuotere profondamente anche Freak che improvvisamente decise di allontanarsi dal bancone per riordinare il locale. Effettivamente era la prima volta che qualcuno lo vedeva sorridere, chi si sarebbe mai aspettato un tale sorriso angelico?! Lawrent riprese a fissare Alice negli occhi, la traccia del sorriso ancora viva sulle labbra, ma spenta negli occhi. -Alice, posso riaccompagnarti a casa?-
Stavolta Alice rischiò seriamente di affogare in quel poco che rimaneva del suo cocktail. Le aveva appena chiesto di andare a casa sua?! Era tramortita da tutti i sottointesi di quella proposta e non aveva la più pallida idea di cosa rispondere… Ma Lawrent non stava aspettando una risposta: prese il giubbetto di Alice e glielo mise sulle spalle, pagò il suo drink, e guidandola con una mano la accompagnò fuori dal locale. Alice lo seguì come in trance attraverso il parcheggio antistante “Il Buco” e poi nella sua macchina, una BMW scura vecchio modello. Alice non ricordava di aver mai aperto bocca per tutto il viaggio, eppure Lawrent si avviò a colpo sicuro verso la via dove Alice viveva e parchèggiò esattamente sotto il suo palazzo. La abbracciò distrattamente, sussurrandole “non avere paura” e quando la lasciò andare stringeva in mano le chiavi dell’appartamento di Alice, rubate con abilità da borseggiatore dalla tasca della sua giacca. Lawrent guidò Alice, sempre più imbambolata e confusa fuori dalla macchina, per gli scalini dell’ingresso del palazzo, in ascensore e nel suo appartamento, fino in camera.



 Il giorno dopo Alice si svegliò di soprassalto al suono della sveglia, terribilmente debole e con un forte giramento di testa. Si alzo, e si infilò sopra al pigiama la prima maglia che trovò per combattere il gelo mattutino, accese il riscaldamento e preparò la colazione. Fece tutto questo in maniera automatica, la mente persa a rimuginare su un particolare che non riusciva ricollegare a nulla: un anello d’argento formato da due serpenti intrecciati. Su dove l’avesse visto o indosso a chi, buio totale. Quando tornò in camera per vestirsi si accorse che il computer era acceso. La pagina aperta era quella dove aveva salvato lo stupido inizio di quello che doveva essere il libro per bambini che le avevano commissionato. Solo che al posto delle tre righe che ricordava di aver scritto per scherzo, c’erano diverse pagine. Sorpresa, prese a leggere il documento che non ricordava affatto di aver scritto.
Indubbiamente, era un buon inizio. Oh no, era anche molto più di questo. Era coinvolgente e ben scritto, articolato, ma semplice da capire, interessante come uno di quei libri per ragazzi di cui sono fan anche i genitori. E, anche se non ricordava affatto come, lo aveva scritto lei. Non solo Alice non sapeva come c’era riuscita, ma non aveva neanche la minima idea del quando.
Un momento… cosa aveva fatto la sera precedente? L’ultima cosa che ricordava era la rabbia che aveva provato rileggendo le tre righe che aveva scritto dopo aver cenato. Come era possibile che non le venisse in mente altro? Cercò di ricucire il buco nella sua memoria pensando in modo pratico: non c’erano altre spiegazioni se non il fatto che lei fosse stata tutta la sera al computer, e poi, quando ormai doveva essere tardissimo, aveva finalmente avuto il lampo di genio che l’aveva costretta a scrivere di getto, per il resto della notte. Questo spiegava perché non si ricordava nell’atto di scrivere… Comunque sul fatto che quelle pagine fossero opera sua non c’era dubbio: era il suo stile quello che traboccava dalle pagine che stava leggendo… il suo stile dei bei tempi, quello godibile e divertente che l’aveva resa famosa… per qualche giorno.
Alice passò il resto della giornata a cercare di continuare il libro dal punto in cui doveva averlo lasciato la sera prima, ma ogni tentativo si rivelò inutile, proprio non sapeva cosa altro scrivere.
Ne diede la colpa alla stanchezza dovuta alla precedente notte insonne, quindi nel tardo pomeriggio decise di desistere e provare a dormire un po’. Quando si svegliò erano passate le nove di sera, ed il suo stomaco, digiuno dalla colazione, protestava allegramente. Decise di uscire, per rinfrescarsi le idee, cercare ispirazione e magari mangiare qualcosa. Una volta in strada, aveva tutta l’intenzione di avviarsi a piedi verso uno dei suoi pub preferiti quando un taxi si fermò frenando rumorosamente a pochi centimetri da lei. Alice fissò il tassista con la sua migliore occhiataccia, ma qualcosa in quel tizio le sembrò improvvisamente familiare e come in un deja-vu riconobbe il taxi come lo stesso che aveva preso la sera prima. Allora non era rimasta in casa tutta la sera a cercare di scrivere! Come poteva esserselo dimenticato? ma soprattutto, perché non ricordava dove era andata? Si rivolse direttamente all’autista: - Salve! Mi può portare dove sono stata ieri?
-  Eh guardi il taxi è prenotato, ho ricevuto una chiamata da un signore di questo palazzo. 
- Ah, si si, mio padre ha prenotato il taxi per me.
-Signorina, questo signore ha prenotato per lui, deve andare all’aeroporto e non nella bisca dove l’ho portata ieri.-
Alice si scusò imbarazzata e se ne andò in fretta, riflettendo furiosamente per scacciare la vergogna della sua pessima figura… una bisca? La sera precedente era stata in uno di quei squallidi club nella zona del porto? Ma questo non aveva senso! Non aveva mai messo piede in un locale malfamato a parte quello di…. Ah ma certo! Era stata a trovare Freak! Ora ricordava benissimo di aver deciso di andare a far visita all’amico sperando che egli avesse qualche storia interessante da raccontarle. Ma tra casa sua e “Il Buco” c’erano più di 5 km di distanza, come aveva fatto a tornare a casa? Non ricordava niente della serata, tantomeno di aver preso un altro taxi. Tutta questa faccenda stava diventando tanto complicata quanto assurda. Alice decise di andare fino in fondo alla questione, prese l’ultimo autobus per il porto, dove avrebbe chiesto direttamente a Freak. Ma quando fu al pub l’unica risposta che ottenne dall’ amico dopo avergli spiegato i suoi problemi di memoria, fu un’alzata di spalle: -mi dispiace tesoro, ma io ti ho perso di vista verso mezzanotte, non ho proprio idea di come tu abbia fatto a tornare a casa, pensa che ero anche arrabbiato perché te ne sei andata senza salutare. Dai non fare quella faccia, magari è solo da un po’ che non bevi ed il cocktail che ti ho fatto ieri ti ha annebbiato un po’. Avrai preso un taxi e sarai tornata a casa brilla e felice e lì avrai scritto il tuo bel racconto.-
- vorrei tanto che fosse così, ma c’è qualcosa che non torna… e poi non mi è mai successo di ubriacarmi con un cocktail… e comunque me lo ricorderei. No, tutta questa faccenda è troppo strana. Ma… la cucina è ancora aperta? Ho un certo languorino!-
Alice si sedette ad un tavolino vicino al bancone a mangiare l’hamburger e patatine che aveva ordinato continuando a rimuginare sui suoi ricordi mancanti. Era tanto concentrata che non vide la porta del locale aprirsi, il nuovo cliente entrare, e fermarsi dopo averla vista seduta al suo tavolo. Non avrebbe neanche notato la presenza inquietante che la stava fissando se questa non avesse di scatto appoggiato una mano al suo tavolo, una mano dalle dita bianche e affusolate, con le unghie smaltate di nero e che indossava sul medio un anello d’argento con due serpenti intrecciati.
Alice sussultò scendendo di schianto dalle nuvole e si decise ad alzare lo sguardo verso colui che la stava fissando tanto intensamente.
Lawrent. Questo nome le esplose in testa, certa che appartenesse al ragazzo che la stava fissando, anche se non era sicura di averlo mai incontrato prima. Si, avrebbe sicuramente ricordato di aver conosciuto qualcuno con una bellezza tanto abbagliante. Eppure questo tipo aveva qualcosa di familiare, molto familiare. Lo guardò mentre prendeva posto al suo tavolo, sulla sedia di fronte alla sua. -temevo proprio di trovarti qui, è per questo che oggi sono venuto prima- le disse, con un viso serissimo, neanche l’ombra di un sorriso.
Alice guardò l’orologio e pensò ad alta voce: -è vero, te arrivi sempre a mezzanotte.- Non aveva idea di come facesse a saperlo.
Lawrent annuì e sempre continuando a fissarla le chiese: -quanto ricordi di ieri sera?-
Alice ci pensò un istante. Si, ora ricordava Lawrent, ma ciò che riusciva a richiamare alla memoria era solo il suo ingresso nel pub il giorno prima, poi ricordava vagamente il fatto di aver parlato per qualche istante con lui al bancone… e niente altro. Glielo disse, sperando di ricevere spiegazioni.
Ma Lawrent invece scosse la testa e disse:  -il tuo cervello è diverso dagli altri, basta poco per richiamare alla tua mente cose che avrebbero dovuto restare sopite per sempre. Sarebbe stato tutto più semplice se non avessi ricordato nulla.-
Qualcosa in quello strano discorso irritò Alice, forse il tono con cui il ragazzo l’aveva pronunciato, forse il fatto che non rispondeva a nessuna delle sue domande ma che anzi complicava solo le cose. Così si ritrovò ad alzare la voce mentre diceva : - che vuoi dire? Ho questo buco in testa… io devo ricordare! Non posso fare finta di niente! Te sai cosa mi è successo ieri, non è vero? Dimmelo, ora!-
Lawrent come risposta accennò al bancone dietro di se, dove non solo Freak ma anche gli altri clienti li stavano fissando. -Non qui- disse -se vuoi delle risposte dobbiamo andare dove saremo solo tu ed io, ed anche in questo caso non dipenderà da me quanto riuscirai a ricordare.-
Alice stava già preparandosi a rispondere con qualcosa di poco carino e femminile, ma invece di aprire bocca si ritrovò a sprofondare nello sguardo di ghiaccio del ragazzo. Sentì immediatamente l’urgente bisogno di distogliere lo sguardo e chiudere gli occhi.
Quando li riaprì Alice era sdraiata sul letto del suo mini appartamento e il display luminoso della sua sveglia che squarciava il buio della sua stanza, segnava la mezzanotte in punto.
-Hai aperto gli occhi, finalmente.- disse la sagoma seduta in fondo al suo letto. Ad Alice ci volle qualche secondo prima di realizzare chi avesse parlato.
-Lawrent! Come sei entrato qui? No, aspetta come some sono tornata a casa? Quando… cosa…
-Shhh, calmati Alice.- le rispose il ragazzo da un punto imprecisato vicino a lei -Ti spiegherò tutto, ma ho bisogno che tu mantenga la calma, altrimenti non ricorderai nulla di ieri notte e non crederai ad una parola di quello che dirò.-
Lawrent aveva acceso la lampada sul comodino ed ora era sdraiato di fianco a lei, la bella testa appoggiata sulla sua mano, i riccioli corvini dei suoi capelli sparsi sul cuscino. Era difficile temere qualcosa di tanto bello, ma nonostante questo Alice provava un’inquietudine profonda ogni volta che lo guardava negli occhi ed il peso di tutti i misteri che lo circondavano ed il fatto che fosse l’unico a sapere cosa stava succedendo contribuirono a farla sobbalzare quando Lawrent mosse una mano per scompigliarle i capelli.
- Non avere paura, Alice. Te l’ho detto anche ieri sera quando siamo venuti qui. Ricordi? Iniziamo da questo punto, ti va? Chiedimi quello che vuoi.-
Ascoltando la voce suadente di Lawrent i ricordi della sera prima cominciarono ad affluire lentamente alla memoria di Alice, che ora ricordava chiaramente di essere stata riaccompagnata a casa dal ragazzo. -Perché hai voluto portarmi a casa? Come facevi a sapere dove abito?-
- “Sei stata te. Ieri sera credevi che ti sarebbe piaciuto se ti avessi riaccompagnata a casa, così l’ho fatto.”
-“Ma io non l’ho mai detto! L’ho solo pensato per un istante!”- sbottò Alice, arrossendo.
-“Già“-
-“Mi stai dicendo che puoi leggere nel pensiero?”-
-“In realtà lo stai dicendo te!” -
- “Ma…è assurdo! Ok, allora secondo te…cosa sto pensando… ehm… ora?”-
 -“ahah, divertente.”- Rispose Lawrent sogghignando -“Stai pensando alla vecchia pubblicità del Bacardi, quella con lo psicologo che chiede ad una ragazza stesa sul lettino di dire la prima cosa che le viene in mente e lei risponde “chocolate!” ed invece stava pensando ad una marea di… “
Alice era sbalordita. Il suo cervello non riusciva a reagire alla consapevolezza che tutto ciò che le passava in testa potesse essere esposto in quel modo. Provò a smettere di pensare, ma il pensare al nulla era pur sempre un pensiero… Confusa, l’unico modo che le venne in mente per evitare di fargli leggere i suo pensieri fu quello di incalzarlo con le domande, ma prima ancora che iniziasse a pronunciare: “Come ci riesci?” Lawrent le stava già rispondendo:
-“ sono nato con questa capacità. Conosci quella teoria secondo la quale gli esseri umani sfruttano solo un 10% del potenziale del loro cervello? Bhe a quanto pare in me c’è qualcosa che mi permette di sfruttarne una percentuale molto più ampia. Ma questo ha anche i suoi lati negativi… per nutrire una mente come la mia il cibo dei normali esseri umani non basta…”
Alice non sapeva più cosa pensare… quella conversazione non era solo strana ma stava diventando via via sempre più spaventosa… era comunque talmente assorta in quella assurda faccenda che non riuscì a trattenersi dal chiedere a Lawrent di spiegarsi meglio.
-“Oh, credevo ci fossi arrivata.”- Le rispose Lawrent sorpreso. -“Chi credi ti abbia dato quel morso?”-
-“Eh? Quale morso?”-
-“Stai scherzando? Vuoi dire che non te ne eri accorta?!”-
-“ No… io…”-
-“Dovresti avere più cura del tuo corpo… ieri ti sei svegliata con la pressione bassissima, non è così? Davvero non ti sei chiesta da cosa dipendesse?”
Qualcosa scattò nella mente di Alice, che iniziò a tastarsi il collo, assorta, per poi correre in bagno davanti allo specchio. -“Qui non c’è nessun morso!” Urlò a Lawrent rimasto in camera.
-“Quello dei morsi sul collo è solo un clichè letterario e cinematografico…”- La voce di Lawrent era passata dallo stupore all’ilarità… per poi finire la frase in un tono di macabro sarcasmo:
- “quando disponi di una ragazza inerme ci sono posti molto più interessanti dove mordere…”
Alice in preda ad un terrore rabbioso iniziò a controllare furiosamente il suo corpo alla ricerca di qualsiasi anomalia… finchè non trovò sulla scollatura un livido con i segni di un morso, proprio in corrispondenza di una vena. Qualcosa a cui, in un giorno qualsiasi, non avrebbe fatto neanche caso, sbadata come era . Alice afferrò le prime cose che le capitarono a tiro e corse in camera cercando di colpire il ragazzo mentre urlava : -“Tu, schifoso bastardo… sei un mostro!”
Lawrent si fece scuro in volto, come se non si aspettasse una simile reazione. Poi le parlò con la sua migliore voce vellutata, enfatizzando ancora di più il suo tono tremendamente minaccioso, che fece rabbrividire Alice:
-“Non ti conviene insultarmi… Sai, leggere nel pensiero non è tutto ciò che so fare… ad esmpio non mi costerebbe nulla prendere completo controllo di qualsiasi meandro della tua mente! Posso modificare i tuoi pensieri, le tue sensazioni, persino i tuoi ricordi. Capisci cosa voglio dire? Se volessi potrei cancellare dalla tua testolina tutto ciò che è successo negli ultimi due giorni, ma potrei anche esagerare e prendermi per sbaglio anche i migliori momenti della tua infanzia, i volti dei tuoi amici… potrei farti scordare persino il tuo nome, se volessi. Non farmi arrabbiare Alice…”
Lei sconvolta si lasciò cadere al suolo. Chi avrebbe mai detto che qualcuno potesse minacciarla di rubarle cose tanto intangibili e preziose… non era disposta a vedere la sua mente cambiata e sconvolta, a perdere le immagini dei più bei giorni della sua vita… In ginocchio davanti all’estraneo che si era divertito a sconvolgerla non trovò la forza di ribattere, pensò di aspettare finchè non si sentisse pronta a rispondergli, ma la sua voce si era persa, sotto il peso della consapevolezza della gravità del momento. Così quando vide Lawrent alzarsi e voltarsi avvicinandosi alla porta, non mosse un muscolo per trattenerlo. La voce del ragazzo le giunse come se arrivasse da lontanissimo, ma nonostante lo stato di confusione mentale di Alice le parole di Laerent si impressero in lei come marchiate a fuoco:
-“Ti ho portata qui con l’intenzione di spiegarti, anche se in realtà credevo che avessi capito meglio la situazione in cui ti trovi… ormai, che tu lo voglia o no, sei entrata nella mia guerra, e ci sei dentro fino al collo… ma se sei tanto sconvolta da non riuscire a vedere da che parte sto non ha senso continuare a parlare… però sono certo che presto mi cercherai di nuovo, forse allora sarai più pronta ad ascoltare…”-
Alice non rispose. Tutto ciò che riuscì a fare fu alzare lo sguardo verso Lawrent, che le lanciò un ultima dura occhiata prima di lasciare la stanza. Da lì dove si era lasciata cadere sentì il suono del portone d‘ingresso che si chiudeva.
Quella notte Alice non chiuse occhio. L’idea di essere stata l’ostaggio di una creatura che poteva leggere nel pensiero, giocare con la mente e si nutriva di sangue umano non lasciava alcun posto al sonno. Quando ormai il sole era sorto da ore, l’unico pensiero che riuscì a consolarla fu che quell’essere non la voleva morta… aveva avuto più di un’occasione per farle davvero del male, ma non aveva voluto sfruttarla… pensando a questo, finalmente riuscì ad addormentarsi.
Aprì gli occhi verso mezzogiorno con la sensazione di aver appena avuto un incubo dal quale non riusciva a fuggire… quando fu completamente sveglia ricordò gli avvenimenti della notte precedente e capì che in realtà era la sua vita che negli ultimi giorni assomigliava sempre più ad un brutto sogno. Dopo un’abbondante colazione Alice decise che anche in questo caso avrebbe affrontato qualsiasi problema con il suo solito sistema: carta e penna. Si sedette alla sua scrivania e su un block notes annotò il nome di Lawrent, la sorgente di tutte le sue paure. Rimuginò un po’ su tutto ciò che quel ragazzo le aveva detto, sul mistero che circondava i suoi movimenti, e sul suo aspetto… cos’era esattamente Lawrent? La risposta era tanto ovvia quanto ridicola. Nonostante il suo scetticismo Alice disegnò una freccia che partiva da “Lawrent” e puntava su “vampiro”, da questa parola fece partire altre due fecce: una terminava con la parola “poteri”, l’altra con “sangue”. Sotto a questa scrisse il suo nome, che collegò con una freccia alla parola “guerra” che collegò anche a “Lawrent” e a “vampiro”. Eh già, da quello che ricordava Lawrent aveva parlato proprio di una “guerra“. L’inchiostro con cui aveva scritto quella parola sembrava più nero, quasi in rilievo sulla pagina del suo schema. Ciò parve suggerirle il seguente nesso: Lawrent stava combattendo contro qualcosa (contro se stesso in quanto vampiro, forse!?) e l’aveva trascinata a forza nello scontro, nonostante l’unica cosa che unisse lei ed il ragazzo fosse il suo sangue. Alice ci pensò un po’ sopra… ma più ci rifletteva più la connessione tra quei nomi sembrava farsi labile e perdere di senso. Decise di lasciar perdere e concentrarsi su un altro lato del suo schema.  Sotto al suo nome scrisse “libro”, pensando alle misteriose pagine del racconto per bambini che non ricordava di aver scritto. A questo punto la sua penna tracciò automaticamente una connessione che ebbe parecchie difficoltà a spiegarsi razionalmente: 
Alice ®libro ¬poteri ¬Lawrent.
E se quelle pagine inspiegabilmente belle fossero state frutto del potere di Lawrent? Che le avesse scritte lui di suo pugno era fuori discussione, lo stile era indiscutibilmente quello di Alice, ma… e se Lawrent pasticciando col suo cervello avesse involontariamente ritrovato per qualche ora la sua ispirazione che credeva perduta? Questo significava forse che l’unico modo per continuare il suo libro era rivedere l’essere che la terrorizzava?
Appallottolò il foglietto che aveva appena scritto e lo gettò a terra, mancando il cestino. Se non altro era riuscita a dare qualcosa di simile ad un senso alle poche informazioni che aveva, ma se si era augurata che la maggiore chiarezza riuscisse a liberarla almeno un po’ dalla paura, aveva davvero fatto male i suoi calcoli. In ogni caso adesso aveva abbastanza materiale per decidere cosa fare da ora in poi. Mentre pensava questo Alice sentì nascere in se una nuova determinazione: ormai era troppo coinvolta per fuggire, aveva troppo bisogno di scrivere quel libro per lasciare perdere. Se c’era il rischio di perdere la vita… bhe lo avrebbe corso, tanto non ci stava facendo comunque un gran chè . Non c’era altro modo… doveva rivederlo, per forza.
O forse è meglio dire che lei voleva rivedere Lawrent, e il prima possibile anche.

martedì2febbraio

Love's lies

Love's lies cruel introduced me to you...

Camminava da sola nella città spenta, la via male-illuminata non la spaventava... le piaceva sentire l'eco che il tacco dei suoi anfibi produceva toccando terra ad ogni suo passo... si, in quei momenti si sentiva la padrona della città. I problemi a casa, il lavoro schifoso, il recente passato che cercava di dimenticare... tutto spariva e restava solo il vento fresco tra i capelli corti e il suono del tacco sull'asfalto. Non riusciva proprio a capire perchè la gente dovesse ricorrere alla droga per sentirsi potente... a lei era sempre bastato camminare da sola sfidando le tenebre della città. Cantava nella sua testa le canzoni più selvagge e violente che le venivano in mente, ed eccola, era una Dea, una divinità vendicatrice,una stupenda creatura tenebrosa Lestat o Eric Draven o Ian Curtis... o Buffy! ok forse Buffy non c'entra. Comunque era figa. Di notte, al buio, nel breve tragitto che separava casa sua dal pub dove usciva sempre, lei si sentiva più figa che in qualsiasi altro momento della sua vita. Oh, se il suo ex l'avesse mai vista camminare così, col vento in faccia e le Dr Martens, non l'avrebbe mai lasciata. Questo pensava Nic (Nota Fuori Racconto: ancora Nikki? e che cazzo devo decidermi ad inventare un altro nome, le chiamo tutte così!) mentre tornava a casa.
-"♫Love's light blue♫..." canticchiò muovendo appena le labbra pensando alla voce di Ville Valo...
-"♫led me to you♫..." Qualcuno l'aveva seguita. Qualcuno che ascoltava gli H.I.M., a quanto pare.
Nic arrossì dietro allo strato di cipria e si girò lentamente. Forse per il buio (N.F.R. ok contiamole, quante cazzo di volte ho detto che era buio?! 1, 2... 6 volte! 6 volte, cazzo!) o forse per il piccolo shock di essere interrotta durante il suo solitario momento di gloria, Nic non riuscì a cogliere in una sola occhiata ciò che aveva di fronte. Cioè si, lo vedeva, ma non lo capiva. Era un ragazzo, un gran bel ragazzo. Di quelli che alla festa del liceo lo fanno mister anche se è ancora al primo anno. Di quelli popolari, sempre seguiti da un codazzo di ragazzine svenevoli, quelli che poi all'università non ci vanno perchè vogliono iniziare come modelli e poi diventare attori, solo che alla fine li ritrovi a fare la comparsa in qualche stupida soap opera e non se ne sente più parlare. Ecco Nic aveva davanti uno così ora. Solo che era sbagliato. Si sentì presa in giro. Perchè adesso anche il tipico quoterback biondo doveva giocare a fare il goticone? Non era giusto. Lui era un vincente, uno di quelli normali, non doveva vestire anfibi e lunghe giacche di pelle nera. Nic sentì di doversi indignare non solo per se stessa ma anche per tutti gli altri emarginati, solitari strani ragazzini cresciuti solo all'anagrafe che facevano di quei vestiti uno schermo da opporre al mondo del sole, della semplicità e della vita.  
-"Perchè quella faccia?! Oh, scusa, è perchè ti ho interrotto? Ma no continua pure, ti prego! riprendi dal punto in cui eri rimasta: ♫love's light blue nananaaa♫ e continua ad allontanarti nella notte... eri così... come dire "figa" con... com'era? ah si " i tacchi sul cemento"... o qualcosa del genere...-
Nic era paralizzata. Il tizio aveva letto i suoi pensieri? -Ho forse pensato ad alta voce?-
-Oh no. No, affatto. Anzi, i tuoi pensieri sono anche abbastanza diffili da decifrare. Così contorti... come puoi badare ai fatti tuoi e cantare allo stesso tempo ed in più vantarti di quanto ti senti figa?-
-Io non stavo... io...- Nic boccheggiava incredula e sempre più imbarazzata e confusa. Con un improvviso barlume di lucidità girò i tacchi ed iniziò a correre verso casa.
-Ehi ehi, ma come, vai di fretta?! credevo ti piacesse gustare il freddo della notte il più a lungo possibile...-
Il tizio adesso era davanti a lei. Era alle sue spalle fino ad un istante prima, e ora le si era parato davanti, bloccandole la fuga verso il familiare vicolo del suo condominio.
-Chi sei? che vuoi da me? fammi andare o mi metto ad urlare, ci sono i miei coinquilini che...
-No, non c'è nessuno-
-c-cosa?-
-Non esiste nessun coinquilino, vivi da sola. E urlare non servirebbe. Questo quartire è praticamente disabitato, e siamo vicini ad un pub, la gente è abituata a sentire le urla degli ubriachi.
Nic sconvolta lasciò che le sue ginocchia le cedessero e si sedette al suolo.
-Ecco , sapevo che avresti reagito così. Già smesso di lottare eh? niente di più semplice. Posso prenderti qui, adesso e scommetto che in cuor tuo ne saresti anche felice. E'  quello che desideri, no?
- Di che parli?
-Oh andiamo! si sente la puzza di sangue da lontano un miglio! guardati! ti senti altrnativa vero? a metterti le calze strappate, la cinta con le borchie e a tagliuzzati le vene...
-Cosa? No, io non ho mai...
-Menti? ancora? fosse puoi nasconderlo ai tuoi amichetti e ai tuoi genitori, ma con quelli come me non attacca... vediamo.... oh, è sempre il sinistro...- Nic si sentì tirare in pedi da una forza incredibile,il tizio l'aveva sollevata come fosse una bambola e le stava strattonando il braccio cercando di tirarle su la manica dello stretto giaccone di pelle.
- Lasciami, mi fai male!... Il braccio...
Con una strattonata più forte il tipo le strappò la manica del giubbetto, rivelando un polso ed un avambraccio immacolti, senza neanche un graffio o una cicatrice.
-Ma il sangue...- ora toccava allo strano ragazzo essere incredulo - l'odore si sente così forte, sembra stia ancora scorrendo...
-Ovvio, ho le mie cose!!! chi sei? un emo-maniaco? ammazzi solo le ragazze che si tagliano?!
- Oh non dire cazzate, credi che dopo più di 30 anni non sappia riconoscere l'odore di sangue venoso da quello...
-Dopo più di 30 anni? ma se ne avrai a malapena 25! quel discorso sul sangue e ora questo, cosa sei, un vampiro?
- ...





E VoI CoSa Ne DiTe, SaRà Un VaMpIro? O sOlo Un VaMp? (magari è anche un Piro...)

Lo scopriremo la prossima puntata, yeahhhh!

lunedì5ottobre

Mammamia. E' da talmente tanto tempo che non scrivo qualcosa da questa parte che non mi ricordavo più dove dovevo andare per pubblicare un post. Mannaggia a quando mi è venuta l' idea di utilizzare un template che non è di Blogger, per scrivere un post mi tocca partire dalla bacheca... Ma lasciamo stare queste questioni tecniche. Sto scrivendo un racconto breve. Un'altro. Però un pò più lungo di After School. E ci sono i vampiri *.*. O meglio ce n'è uno solo ma è tanto figo. Detto questo... che volevo fà?! Bho me so scordata che dovevo scrive. C'ho sonno e devo ancora prendere il tram e poi la metro e poi andare nel club divertirmi fare tardi e rifare il tragitto fino a casa. MA questa roba avrei dovuto scriverla di là, qui si parla delle mie creazioni. Non è che io stia facendo un tentativo maldestro di allungare il brodo perchè sono mesi che non creo niente, nuoooooooo, non è affatto così, affatto proprio. Comunque, dicevo, il racconto breve. c'è questa tipa che vorrebbe fare la scrittrice ma ha esaurito la sua vena artistica e poi incontra il vampiro, gli gnomi le fatine gli oompa-loompa e si mettono a fare il girotondo tutti insieme. Cioè la storia non è proprio così ma non me ne va di scriverla. Che scazzo ragà. Tanto la pubblico a breve. (breve in senso lato, naturalmente).

venerdì20febbraio

Dead Helena

Ho fatto un quadrooooo! Ed è bellisshimo! *.*, ok orgoglio a parte, è davvero bello, perchè il modello che ho usato sono due disegni di Victoria Francés, ed anche se alla fine ho rimescolato il tutto, se il modello è bello, anche il quadro non può che essere tale U.U. E poi sono Felice perchè per farlo ci ho messo solo una settimana! ^.^ Non per vantarmi, ma di solito ci metto anni per fare un quadro, e neanche tanto carino! Ma stavolta sono stata brava, e me ne vanto! uhauhauahuaha
ma lasciamo parlare le immagini:

Questi sono i disegni di Victoria Francès.















Questa è la mia personale sintesi delle due immagini, il modello del quadro.















E questo è il risultato finale. La faccia soprattutto è diversissima dal modello, ma che ci posso fare?! alla fine è solo il mio quarto quadro...
Allora?Che dite? sono brava vero? *.*
vero?
verooooooo?????

P.S. Il quarto quadro di mio padre è stato anche l'ultimo... sarà così anche per me? magari mi darò all'ippica...

lunedì19gennaio

come mi vedi?

A volte mi diverto con poco. O meglio, pur di non studiare, faccio finta di spassarmela con giochetti cretini. Ad esempio fare le caricature. E io sono perfetta per essere il soggetto di una caricatura! cioè: ho i capelli a manga il naso a patata e gli zigomi grandi, disegnarimi è talmente facile che quasi mi annoio! Ieri ne ho fatte tre carinissime:




Me versione Stràfica ( o meglio me dopo:
-una-mezza-giornata-passata-in-bagno-a-truccarmi
-e/o-una-visita-dal-chirurgo-plastico-e/o-
aver-fatto-un-patto-col-diavolo)










me versione giappina-carina ^.^
No in effetti è troppo carina *.*










me versione Vecchia-BBefana
o meglio me versione "come-mi-sento-di-solito"






bene, adesso voglio i commenti su quale delle 3 mi somiglia di più ^.^
ATTENZIONE-WARNING-ATENCIO'N-ACHTUNG!!!
chi dice che mi somiglia di più la prima avrà il mio amore eterno *.*

sabato15novembre

After School Nightmare (racconto pseudo-giallo artigianale)

Tap tap tap qualcuno sta correndo per un lungo e buio corridoio. La ragazza inciampa e scivola, sono in molti ad inseguirla e i vecchi muri rimandano l'eco di mille passi, ma l’unica cosa che lei sente è la paura, che le romba nelle orecchie. Qualcun altro, chiuso dietro ad una porta lontana sta urlando con tutto il fiato che ha in corpo, lei sente, ma non può fare niente, può solo continuare a scappare…finalmente ha raggiunto le vecchie scale antincendio, buie e strette, si affacciano direttamente sul vuoto... nessuno passa lì da anni. Senza neanche rallentare, percorre gli scalini di volata, saltandone alcuni per fare più in fretta, ma un gradino cede, la caviglia non la regge e la ragazza si ritrova a precipitare nel buio. Aaaaaaaaaaaaaaarghhhhhhh!
Ci aveva messo qualche secondo a capire che cosa ci faceva nel suo letto, si era girata attorno in un bagno di sudore, cercando di intravedere attraverso il buio se si trovava davvero nella sua cameretta o in quel luogo tetro, che pure le sembrava di conoscere... ora sapeva che la ragazza che correva disperatamente era lei ma il sogno già sfumava nei suoi ricordi, lasciandole solo addosso un senso di vago terrore. Guardò la sveglia, erano le 7 e 17 minuti: tra poco si sarebbe dovuta alzare, ma aveva ancora tempo per riordinare le idee e cercare di ricord...zzzzzz...
Le piaceva cercare di ricordare tutti i sogni che faceva, le piaceva soprattutto quando all'improvviso, nel corso della giornata ,un odore, un suono particolare le dava quello strano senso di deja-vu... Era qualcosa che le succedeva spesso ultimamente, soprattutto quando era a scuola. Ed ogni volta, dopo qualche secondo in cui se ne stava assorta nei suoi pensieri, le sue amiche la vedevano sollevare improvvisamente la testa con un -"Ah! ma certo!"- ed ogni volta lei doveva spigare a tutte che quella notte aveva avuto la stessa identica sensazione in un sogno. Ormai era divenuta un caso nel suo liceo. Una volta una ragazzetta che non aveva mai visto si era presentata nella sua classe durante l'intervallo, per sapere se lei poteva predire come sarebbe finita la storia con il suo ragazzo. Il tutto si era sgonfiato in breve tempo, quando la gente aveva capito che non era in grado di predire un bel niente e che i suoi sogni, anche quando se li ricordava, erano poco più di profumi e sensazioni tattili, che non era in grado di interpretare.
Questa volta però era diverso, aveva sognato un luogo reale, (anche se ancora non lo aveva riconosciuto) ed una persona reale (lei stessa), anzi no, due persone reali: la voce che urlava, tanto acuta e distorta dal terrore che non avrebbe saputo dire se si trattava di quella di un maschio o di una femmina. Si bhè questa volta sarebbe stato diverso se lei non si fosse addormentata subito dopo essersi ripresa dallo spavento. E doveva essere stato uno spavento bello grosso se le aveva messo tanta stanchezza addosso da farla dormire come un sasso fino alle 7 e 50.
I suoi, preoccupandosi di non sentire loro figlia che correva tra il bagno la camera e la cucina per la ressa quotidiana che precedeva l' andare a scuola della loro "bambina" ( ma si può a 17 anni essere ancora chiamata bambina dai propri vecchi?!) aprirono l'inviolabile portale che conduceva al rifugio segreto della bella addormentata, e non bastò accendere tutte le luci ed aprire la finestra per farla svegliare. Ricorsero quindi alla tattica, davvero meschina, di tirarle via di dosso le coperte e con un salto la nostra protagonista si trovò a correre in bagno, senza il tempo di scandagliare la sua faccia in cerca di brufoli inesistenti, come faceva ogni mattina, ne il tempo di fare colazione e neanche quello di preparare lo zaino per bene. Così quando prese al volo l'ultimo autobus si accorse di aver dimenticato a casa l'astuccio, i soldi per la merenda, ed un paio di libri. Arrivò in classe con solo 5 minuti di ritardo, un istante prima che entrasse quella vecchia ciabatta della prof di francese. Il resto della mattinata procedette come sempre: la classe sonnecchiava con i prof noiosi, salvo svegliarsi sporadicamente per ridere a qualche battuta e ripiombare poi nel solito limbo. Durante la ricreazione dovette per forza alzarsi ed accompagnare le sue amiche in bagno, a truccarsi, che si sà, è attività di gruppo. La scuola quella mattina aveva un che di insolito per lei, e sapeva che di lì a poco sarebbe arrivata a riconoscere di aver già sentito l'odore del disinfettante per pavimenti, o il ruvido della ringhiera delle scale in un qualche suo sogno, ma, quando stava per arrivare alla conclusione dell' enigma, veniva sempre interrotta dal chiacchiericcio delle compagne. Una di loro stava intrattenendo le altre con la storia di un tizio dello scientifico, che erano giorni che non si faceva vivo ne a scuola ne a casa, ed i suoi pensavano di rivolgersi a "chi l'ha visto" per ritrovarlo ...

La mattinata riprese appena un pò meno sonnolenta di prima: presto i suoi polsi divennero doloranti a forza di prendere appunti dalla voce monocorde di un prof esigente, e poi iniziarono a bruciarle gli occhi, cercando di decifrare alla lavagna la scrittura della prof di inglese, con la mania degli schemi. Quando arrivò finalmente il momento di raccogliere tutto il materiale, scolastico e non, che aveva sparso intorno a se durante le sei ore, alzando gli occhi, vide alla lavagna la scritta "Oggi ore 19, ritrovo di tutti i rappresentanti di classe per decidere dell'assemblea di istituto". Gemette piano tra se e se. Come unica rappresentante (l'altra era malata) quella sera doveva tornare di nuovo a scuola. Probabilmente gli altri rappresentanti ci avrebbero messo secoli per mettersi d'accordo su questioni inutili, e le sarebbe toccato anche tornare a casa tardi e a piedi, col freddo che faceva. "Perchè avranno scelto un orario tanto assurdo?" pensava tra se mentre si infilava sull'autobus per casa e si sedeva con rabbia, occupando senza saperlo il posto che aveva puntato una vecchietta. Così dopo aver pranzato e visto i suoi cartoni animati preferiti (si perchè sono in pochi ad ammetterlo, ma il dopo pranzo è tassativamente l'ora dei cartoni), dopo essere stata a ginnastica ed aver dato appena un'occhiata ai compiti per il giorno dopo, le toccò prendere di nuovo l'autobus. Si trovò davanti una scuola piuttosto spettrale.Il grande e brutto edificio in periferia era completamente immerso nel buio e circondato dagli alti alberi del giardino, che d'inverno s'allungavano sempre sinistri e trascurati. Da qualche parte nel profondo della sua mente cercò di farsi strada il pensiero di quanto fosse strano che nessuna delle finestre mostrasse una luce accesa. Ma l'idea restò sommersa dalla preoccupazione di dover affrontare ore di dibattiti inconcludenti e dalla determinazione che doveva usare per convincersi a continuare a camminare attraverso il cortile, contro il vento. Il portone era socchiuso e l'ingresso era illuminato solo dalla luce della luna. Dal piano terra, dove si trovava, salì le scale per il primo piano, quello con la sala delle riunioni. Finalmente incominciò a stupirsi del fatto che la scuola fosse immersa nel più assoluto silenzio, e che anche la bidelleria e la segreteria erano del tutto deserte. Fece il giro del piano per sicurezza, e tornò anche nella sua classe per rileggere la scritta sulla lavagna, che però trovò completamente pulita. Poi il lampo di genio. Quel giorno era giovedì. Di giovedì non si possono fare riunioni serali, perchè il personale scolastico presta servizio solo la mattina. Furiosa con se stessa per essersi fatta abbindolare da uno scherzo tanto stupido e meditando vendetta nei confronti di una sua compagnia che si credeva tanto divertente quando faceva scherzi del genere, prese a scendere in tutta fretta le scale, sperando che non fosse ancora passato l'ultimo autobus... quando lo sentì.Un urlo disperato e lontano, subito soffocato a forza. Rimase interdetta, col piede sollevato a metà sull'ultimo scalino della prima rampa, i muscoli tesi e tutti i sensi all'erta, cercando di convincersi che era solo suggestione, che se lo era immaginato, che aveva visto troppi film horror. Ma risentì dei rumori, stavolta erano risate, acute, isteriche ma anche divertite, e tonfi, tonfi sordi, come di un oggetto pesante sbattuto a terra con violenza. Si maledisse tra se per la sua curiosità, ma decise di tornare indietro. In compenso smise di inveire mentalmente contro la sua compagna, perchè ormai era quasi sicura che non si trattasse tanto di uno scherzo, quanto di qualcosa di grave, di cui non avrebbe dovuto venire a conoscenza. Più silenziosamente che potè ripercorse il tratto che aveva appena compiuto e si ritrovò nel corridoio del primo piano, cercando di individuale la provenienza delle voci, che ora si facevano concitate. Credette di aver trovato la fonte dei rumori nell'ultima stanza del piano, ma arrivata lì davanti comprese che le voci le sembravano tanto vicine per via dell'eco e che invece esse provenivano dal piano di sopra, dai bagni delle donne. Teoricamente quei bagni avrebbero dovuto essere chiusi perchè non erano ancora stati ultimati, ma nella scuola girava la voce che in qualche modo i ragazzi dell'ultimo anno si fossero procurati le chiavi e durante l'intervallo si trovassero lì per fumare o per fare le indicibili cose che facevano i ragazzi dell'ultimo anno. Ma le grida, le risate che sentiva, non sembravano quelle di una coppietta durante un incontro clandestino e neanche quella di due o tre sbandati che si passavano una siringa. I suoni avevano un che di cupo e acido, come un vento maligno che dalla luce accesa al piano di sopra spirasse attraverso le scale, fino a lei, che aspettava di trovare il coraggio di salire. Il tutto era ingrandito e distorto dall'eco formato dai soffitti alti del palazzotto vecchio-stile, per il totale di un effetto assurdamente agghiacciante.
Finalmente si decise a salire, spinta da neanche-lei-sapeva-cosa, e si fermò sull'ultimo gradino, separata solo da un muro dalla stanza infestata. Prese ad osservare, senza volerlo veramente, i giochi d'ombre proiettati dalla flebile luce di una lampadina, che rimandavano sul muro di fronte le sagome dei ragazzi, almeno una diecina, ne era certa, nello stanzone dissestato. Erano tutti in piedi, in un semicerchio quasi perfetto,attorno ad un'unica figura,piegata scompostamente, quasi acquattata contro il muro. Poi le sue orecchie iniziarono a percepire stralci di una conversazione:

"Ma guardalo, povero piccolo, non si regge più neanche in piedi, fa quasi tenerezza, no?" -
"Dovremmo pestarlo ancora un po'... Non sopporto il modo in cui ci guarda..." -
"Sei scemo? un'altro calcio come quello di prima e va a finire che questo stronzo ci rimane, io non voglio averci niente a che fare se c'è da farlo sparire..." -
"Ste, sei solo un buffone, non sei capace neanche di tenerlo a bada come si deve... è colpa tua se ieri stava per scappare no? se hai tanta paura che si sciupi, perchè non lo lasci libero, dopo che ha visto tutto quello che facciamo qui? Eh? non sarebbe una figata se tua madre scoprisse che ti fai..."
- "Battona del cavolo, perchè non pensi alla tua di madre, se sapesse che sei con noi invece che a ripetizioni di matematica.... che poi come fai ad avere i voti che hai se non hai mai aperto libro?" -
"Sei un leso! L-E-S-O! sei l'unico che non sa ancora che questo stronzetto per terra aveva anche beccato la Claudia chiusa qui dentro col prof"-
"Bhe almeno io mi faccio un bell'uomo, te invece Lu, ho visto come lo guardavi questo tappo sfigato, dimmi, cosa ci hai fatto quando era il tuo turno di sorvegliarlo, l'altrieri?"-

Si sentì gelare... non avrebbe mai immaginato che succedessero cose simili, non nella loro città tranquilla, non in quella scuola, non ragazzi e ragazze poco più grandi di lei... persone che era impossibile non conoscere, almeno di nome. Aveva riconosciuto la voce di Ilaria e Gabriele della 5 C, poi Stefano, Claudia e Luca del III D... erano figli di gente in vista, ma anche solo semplici studenti-vip, per il loro aspetto, per la loro intelligenza, per i loro soldi... li ascoltava solo da qualche secondo ma già sapeva che erano coinvolte le ultime classi di entrambi gli istituti...
E adesso? Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare. Naturalmente non poteva fare finta di niente, ed anche se una parte di lei l'avrebbe voluto, sapeva che non sarebbe mai riuscita a dimenticare ciò che aveva sentito. Si impose di ragionare con calma, ma la figura piegata a terra le metteva una certa ansia e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso... capì che la sua posizione scomposta era dovuta alle funi che si diramavano dalle caviglie, dai polsi e dalla vita di lui e che lo inchiodavano a dei ganci sul muro, come la vittima in un film horror di serie D. Ok inutile tentennare ancora, nel fondo del suo cuore aveva già deciso cosa fare: si sarebbe girata, avrebbe percorso più silenziosamente possibile tutte le scale fino all'uscita secondaria e sarebbe scappata in fretta verso il primo posto sicuro che avesse trovato, dal quale avrebbe poi chiamato la polizia. Quando stava finalmente per muoversi, qualcosa la inchiodò dov'era, un flash, no questa volta un'intuizione vera e propria, un lampo di chiarezza che le attraversò il corpo e la mente, e ricordò il sogno di quella notte, il sogno per intero, non solo un suo vago fantasma: la corsa, l'urlo, le scale, il vuoto. A quanto pare aveva avuto un vero sogno premonitore, e se lo ricordava... e stava per ignoralo.
Insomma, secondo ciò che aveva sognato, lei aveva tentato di salvare il ragazzo legato, ma era stata scoperta e, scappando dai suoi inseguitori, era precipitata dalle scale anti-incendio. O forse non aveva affatto tentato di salvarlo... se andandosene avesse fatto rumore si sarebbe ritrovata braccata da quei ragazzoni... e se correndo si fosse trovata davanti le scale antincendio come unica via di fuga... sarebbe davvero morta? Stava esitando alla grande, si, stava esitando per colpa di un sogno, un incubo vivido come non gliene erano mai capitati, ma pur sempre un sogno, una proiezione della mente...
Magari invece quel sogno non aveva nulla a che fare con ciò che stava vivendo in quel momento... e se la sera prima avesse solo mangiato troppo pesante?!
Scoprì di non avere più la forza di pensare, le sue ginocchia stavano cedendo, i muscoli erano tanto contratti che credeva che appena avesse cambiato posizione sarebbero esplosi in crampi ovunque...
Senza sapere ciò che faceva, con la mente completamente vuota si stupì di sentire la sua mano correre allo zaino, cercare freneticamente qualcosa, una cosa qualsiasi, e chiudersi sul vecchio astuccione pieno di penne colorate, che la accompagnava fin dalle medie. Lo estrasse in fretta e lo gettò più lontano che potè attraverso il corridoio buio, in direzione opposta alla sua. Sembrò che ci mettesse secoli a toccare terra, ma finalmente il vecchio astuccio andò a spiaccicarsi contro uno dei finestroni, producendo un rumore assordante nella scuola silenziosa, moltiplicato per mille dall'eco. Si riscosse e divenne finalmente cosciente di ciò che aveva fatto: aveva creato un diversivo. Nella stanza accanto calò il silenzio e le figure che prima si muovevano convulse, si bloccarono contemporaneamente, come se qualcuno avesse premuto "pausa" su tutta la scena. La figurina in terra alzò il capo lentamente, a fatica, ed il suo gesto parve riscuotere quello che sembrava il capo del gruppo, che senza aprire bocca uscì dalla stanza e le passò davanti, senza vederla. Il resto del gruppo, da bravi cagnoloni fedeli quali erano, seguirono il capo a ruota e lei li vide uno per uno illuminati dalla luce dello stanzone. Appena l'ultimo fu sfilato davanti a lei uscì dalla piena oscurità del cantuccio dove si era rifugiata, e consapevole che il tempo era contro di lei si fiondò nella stanza accanto. Non ebbe neanche il coraggio di guardare il ragazzo raggomitolato a terra, ma si concentrò sui nodi che lo tenevano legato. Solo quando questo, ancora pieno di stupore sussurrò -"Nikki!"- si decise a guardarlo in viso. Era Leo. "Il piccolo Leo", un'altra specie di celebrità in quell'istituto, ma con una fama diversa da quella dei suoi aguzzini. Un ragazzino appena più alto di lei (che diceva a tutti di essere alta un metro e 60 ma non ci arrivava neanche misurando l'antenna che certe mattine si formava da un ciuffo ribelle della sua frangetta) con la passione per la scrittura, e dei voti assurdamente alti, raggiunti senza il minimo sforzo. Nonostante avesse un anno meno di lei era già il redattore del giornalino di istituto ed un paio di volte aveva rischiato la sospensione perchè aveva pubblicato articoli diffamanti sui suoi compagni. A quanto pare questa volta aveva avuto intenzione di pubblicare qualcosa di troppo grosso. Era stupita che sapesse il suo nome, no anzi, che l'avesse chiamata nello stesso modo in cui le sue amiche le storpiavano il nome. "Nicole, " continuò lui, "c'è un taglierino sul davanzale...". Nicole non aveva bisogno di chiedere come facesse a sapere del taglierino, bastava guardarlo: era coperto di lividi e tagli, ed uno profondo sulla guancia, sembrava particolarmente recente. Tranciò di netto le pesanti funi che lo legavano e pensò confusamente che se lei avesse dovuto torturare qualcuno con uno strumento tanto affilato avrebbe finito per segare in due la sua vittima. Leo si reggeva in piedi a stento e quando si appoggiò a lei rischiarono di finire entrambi a terra. Nello stesso istante una parte della mandria fece ritorno alla stanzetta ed i due gruppi si trovarono faccia a faccia sullo stipite della porta. Il capo dei teppisti stringeva in mano il suo astuccio rosa schoking con i fiorellini e una minuscola parte di lei, quella non ancora paralizzata dalla paura si sentì una sciocca per aver usato un diversivo tanto stupido. Prima che potesse pensare qualcosa di sensato si sentì spingere di peso verso le scale, seguita a ruota da Leo che pur di andarsene sopportava anche di correre su una gamba slogata. La via per scendere le scale era bloccata dal resto del gruppo di teppisti, che a quanto pare,dopo aver sentito il rumore, avevano avuto il buonsenso di dividersi per cercare eventuali intrusi. Così furono costretti a schizzare verso il terzo piano dove però trovarono la porta per accedere al corridoio chiusa a chiave. Dovettero salire altre due rampe per il quarto piano quando ormai sentivano il branco di teppisti urlanti a pochi centimetri da loro. La porta del quarto piano si aprì e Nicole si catapultò fuori afferrando la maniglia, pronta a richiuderla appena fosse passato anche Leo. La sbattè esattamente in faccia a Francesco della 5A, lo stronzo che quando lei faceva il primo anno di asilo era stato il suo migliore amico, ed ora invece, ogni volta che la incrociava in corridoio non faceva che sussurrare all'orecchio cose cattive ai suoi amici, in modo che si mettessero a ridere appena lei passava. Non ebbe il tempo per godersi la rivincita, Leo la afferrò per braccio ed un pò spingendola un pò reggendosi a lei la stava conducendo verso le fine del corridoio. Nicole si bloccò all'improvviso. "D...Dove stiamo andando?"
-" le vecchie scale antincendio..."- rispose lui spazientito dal fatto che si fosse fermata tanto in fretta da fargli rischiare di cadere a faccia avanti."NO!!! non possiamo scendere di lì...sono vecchie e...e marce, è troppo pericoloso..." e, come se fosse la cosa più naturale del mondo " perchè non...prendiamo l'ascensore?!"-
Leo si girò a guardarla sconcertato, non capiva perchè stesse tremando in quel modo ne perchè avesse gli occhi sbarrati... pensò solo che forse quella ragazzina soffriva di vertigini. Oh cielo, non poteva aspettarsi di meglio da "Nicole la sensitiva" ma era troppo stanco e dolorante per preoccuparsene. La afferro per le braccia e la scosse: "E non pensi che sentiranno l'ascensore?! Li troveremo tutti in fila ad aspettarci a piano terra! Ragiona, cavolo! potrebbero staccare la corrente proprio mentre scendiamo e lasciarci precipitare! Con le scale abbiamo una possibilità! devi solo chiudere gli occhi e in un' istante saremo fuori di qui, non c'è altra via di..."
Ma Nicole era come paralizzata, le mani premute contro le orecchie per non sentire, ripeteva solo: "no no no! io là non ci vado, non voglio... ho solo 17 anni cacchio! Non ho neanche mai ricevuto il mio primo bac..." Leo usò le ultime forze che gli rimanevano per prenderla di peso e gettarla contro la porta delle scale antincendio. La vecchia serratura cedette e Nicole si ritrovò a percorrere al volo la prima rampa di scale decrepite che scricchiolavano orribilmente sotto il suoi piedi, saltando gradini e prendendo sempre più velocità senza possibilità di rallentare, con Leo che continuava a correre appoggiandosi a lei e a trascinarla giù. Non erano neanche arrivati all'altezza del terzo piano quando un gradino cedette ed il piede di Nicole, trovando il vuoto sotto di sè finì per sfracellarsi sul gradino successivo. La caviglia non la resse e senza più equilibrio Nicole si trovò ad appoggiare tutto il peso del suo corpo alla sottile ringhiera, che si spezzò di schianto. Davanti a lei vide solo vuoto e si ritrovò a pensare che tutta quella faccenda non avrebbe potuto concludersi in altro modo. Pensò che succedeva veramente come nei film, ed ora rivedeva tutta la sua vita, accelerata e rallentata insieme: quella volta che aveva scelto la maglietta sbagliata da mettere per una festa, e tutti l'avevano presa in giro, quell'altra volta in cui aveva fatto capire ad un tipo che le piaceva, ed aveva ricevuto in risposta una sonora risata, quella stessa mattina, che si era svegliata tardi per colpa del sogno del cavolo e tutti gli eventi della giornata che l'avevano condotta fino a quel momento... e Leo. E pensare che quando aveva creduto che la cosa migliore da fare in quella situazione fosse girare i tacchi e chiamare la polizia, si era bloccata proprio per evitare di finire così. Aveva pensato che, magari salvando la persona nella saletta delle torture, Qualcuno lassù in alto avrebbe capito che era una brava ragazza, e le avrebbe risparmiato quella fine. Che senso aveva avuto avvertirla che sarebbe morta, se non aveva potuto cambiare le cose? Forse l' unico scopo del suo sogno era stato mandarla a salvare Leo (questo spiegava la scritta sulla lavagna che aveva visto solo lei) ed ora che in qualche modo Nicole ci era riuscita, poteva anche morire... Almeno era morta facendo qualcosa di buono e Leo era davvero salvo, anche se malridotto, e sarebbe riuscito a scendere quelle scale maledette e a cercare aiuto, non era mica tanto stupido da cercare di salv..."-

Un braccio coperto di lividi si protese nel vuoto ed irruppe nel suo campo visivo, andando ad afferrarla per la vita con tanta forza che il flusso dei suoi pensieri ne risultò stroncato, come il suo respiro... e si ritrovò tra le braccia del ragazzo e poi ancora giù per le scale, ed in qualche modo seduta in un'autoambulanza, con Leo che la stringeva tanto forte da bloccarle la circolazione e non voleva saperne di farsi medicare le ferite. Poi lentamente Nicole tornò in sè, vide gli aguzzini di Leo portati via dalla polizia e vide il sollievo ed il sorriso sul volto di lui, sorriso che non riusciva a sparire neanche mentre raccontava ad i suoi genitori che era stato rinchiuso tre giorni a scuola perchè aveva visto alcuni suoi "compagni" più grandi, fare cose orribili, anche se mai tanto tremende quanto quelle che aveva subito lui. Ma ora stava bene. E si era girato verso di lei, e le parlava, anche se Nicole era troppo distratta dal pensiero di aver passato l'ultima mezz'ora tra le sue braccia per rispondergli. Ma il monologo di Leo stava prendendo una strana piega .
-"....certo che però quell' astuccio rosa con... cos'èrano? fiorellini??, cioè, era davvero...."-
-"Ehiiiii, ma che vuoi? ti ho salvato la vita, non criticare le mie cose...anzi, chissà se riescono a ritrovarlo..."-
-"Anchio ti ho salvato la vita, che credi? e poi sono ferito,ed i feriti hanno sempre ragione, punto. E se non era per me saresti ancora bloccata al quarto piano.Che scena, sembravi incantata! cos'è che dicevi? Ah si!"- ed imitando la sua voce -" nooo, sono troppo piccola e carina per morire e bla bla bla- "
-"Non ho mai detto niente del gen...- ma capì che non aveva senso obiettare. Si era appena resa conto che, se Leo ricordava tanto bene i suoi vaneggiamenti da portarla in giro, questo significava che stava per ricevere il suo primo bacio.



THE END ^.^