Ian si appoggiò al manico della sua enorme falce, riprendendo fiato. La leggendaria lama che non perdeva mai il filo se ne stava lì adagiata tranquilla sul selciato mandando leggeri bagliori di un rosso sanguigno. Intorno alla falce ed al suo proprietario si estendeva uno scenario di squallore e morte: i vicoli della città vecchia erano affollati di cadaveri, ammassati l’uno sull’altro in pile insanguinate, illuminate dalla fioca luce di una luna malaticcia.
Quella era tutta opera di Ian. E di Mörsichel ovviamente. Morsichel, era stretta parente di Ragnarock, la lama messaggera dell’apocalisse: la falce sulla quale Ian si stava appoggiando infatti, era stata costruita con il legno di un albero sacro (l’unico scampato agli incendi durante la guerra di sterminio dei druidi ?!) e fondendo parte della lega della leggendaria spada con frammenti del martello di Thor (wtf ?!). Con dei genitori tanto illustri era ovvio che la falce possedesse una sua spiccata personalità. Non amava chiacchierare con il suo proprietario come sua madre, ma non era neanche muta come quel freddo monolite del padre, da cui aveva ereditato tutta la sua durezza. No, Mörsichel preferiva comunicare in modo più sofisticato: quando voleva qualcosa inviava ad Ian immagini e chiari segnali mentali, quando si sentiva in pericolo aumentava improvvisamente il proprio peso e quando era serena vibrava ronzando soddisfatta, come stava facendo ora, felice di aver aiutato il suo padrone a compiere un’altra strage. Erano fatti l’uno per l’altra: quando si parla di armi leggendarie non bisogna mai scordare che sono proprio queste ultime a scegliere il loro proprietario, così Ian riceveva spesso tributi d’amore mentali da parte della sua falce, l’arma che gli aveva salvato la vita innumerevoli volte. Ma se Morsichel è parte della leggenda il suo proprietario non è da meno: Ian si è sempre battuto per non essere un semplice strumento manovrato dalla forza ultraterrena che anima la sua arma. Ian ama definirsi un domatore, colui che ha sottomesso e ridotto all’obbedienza la più mortifera delle lame.
Ian aveva solo 19 anni quando la sua strada e quella di Morsichel si erano incontrate, ma già allora le sue spalle erano abbastanza larghe da sopportare lo sconvolgimento che ne sarebbe derivato. Ian allora non aveva questo nome, anzi non ne aveva affatto: nel villaggio in cui viveva chi non aveva un padre non aveva diritto ad essere nominato in alcun modo. Inoltre Ian era un diverso: nel borgo di uomini dalla pelle scura, con gli occhi dello stesso nero spento, capelli e barba un unico groviglio corvino, Ian spiccava per la sua carnagione chiarissima. Come se ciò non bastasse i lunghi capelli dai riflessi castani e soprattutto gli occhi di un verde intenso erano completamente alieni nel villaggio di minatori dove aveva avuto la sfortuna di nascere. Quelli che altrove sarebbero stati immediatamente riconosciuti come segni di innegabile bellezza, lì a *ç@#+ erano visti solo come un errore della natura e guardati con sospetto. Soprattutto quegli occhi chiari che avevano fama di cambiare colore al mutare del tempo: quando le vecchie del villaggio se ne accorsero lui era solo un ragazzino, ma l’accusa di essere uno stregone gli diede non pochi problemi a trovarsi un lavoro. Niesohn lavorava da quando aveva memoria, prima come schiavo presso la famiglia proprietaria delle miniere dove lavoravano tutti gli uomini del villaggio, poi a 15 anni, quando il suo aspetto aveva iniziato a suscitare le occhiate languide della figlia del padrone, il ragazzo era stato cacciato e costretto a rovinarsi la salute scavando tutto il giorno nelle viscere della terra, dove a causa della polvere i suoi occhi erano tanto arrossati da non lasciarne distinguere il colore e la sua pelle era scura come quella di tutti gli altri. 4 anni di quella vita consumante e Morsichel si sarebbe violentemente introdotta con le sue mortifere falciate nella sua realtà quotidiana.
Quando la falce era particolarmente di buon umore, come una sposina amava ricordare al suo uomo il modo in cui le loro vite si erano unite. Ora, dopo l’inferno che avevano scatenato, la sua soddisfazione era al culmine e lo dimostrava inviando ad Ian immagini del loro primo incontro. Niesohn aveva appena finito il turno più lungo ed estenuante della sua vita alla miniera e se ne stava ritornando mestamente verso il villaggio, diretto al tugurio fatiscente che da qualche tempo si era trovato a chiamare casa. Non si accorse subito che c’era qualcosa di diverso nell’aria: la stanchezza fisica e il vuoto mentale che una vita di sofferenze gli avevano imposto lo avevano come anestetizzato, reso insensibile ad ogni nota di possibile cambiamento. Ma quando trovò deserta la strada verso la sua tana, proprio nell’ora in cui tutti gli uomini ritornavano dal lavoro, e le madri chiamavano i loro figli a casa per la cena Niesohn realizzò di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito. Il villaggio lo aspettava completamente deserto e silenzioso, le porte aperte delle case mostravano interni bui, e vuoti. Poi il suo piede scalzo finì in un avvallamento del selciato e quando lo sentì bagnato e si piegò a guardare vide le sue dita sporche di una sostanza vischiosa… del colore acceso del sangue appena disperso. Guardandosi intorno scorse in ogni scolo di ogni vicolo , tra le pietre dell’acciottolato minuscoli rivoli di sangue che si allungavano oziosamente.
Niesohn corse verso la piazzetta al centro del villaggio, il punto più alto, dove le grandi case ammassate le une sulle altre intorno alla fontana pubblica, appartenenti ai pochi benestanti arricchitisi coi proventi della miniera, avevano reso la zona labirintica e poco luminosa. Dopo l‘ennesima scorciatoia tra i vicoli il ragazzo sbucò esattamente di fronte alla fontana. Ad una prima occhiata non la riconobbe: la vasca dei suoi ricordi, sovrastata da statue e rubinetti, aveva assunto nella luce della sera una forma enorme e spaventosa, parti contorte sporgevano dove prima non c’erano, cumuli che non riuscì ad identificare si ammassavano e si fondevano tutto intorno, formando una piramide deforme e grottesca. Dalla cima di quelli che il giovane avvicinandosi riconobbe come i corpi smembrati dei suoi compaesani, gli sorrideva scintillando una grande falce, conficcata nel mezzo del mucchio.
In quel momento Niesohn non provò nulla. Non dolore per quella gente che comunque non lo aveva mai trattato come un essere umano, non ribrezzo per quello scenario rivoltante, ne paura per la presenza tangibile di qualcosa di potente e incredibilmente malvagio. Il ragazzo si limitò a guardare sorpreso i riflessi che i raggi del sole morente lanciavano sulla scena specchiandosi sulla lama di Morsichel.
Quella era tutta opera di Ian. E di Mörsichel ovviamente. Morsichel, era stretta parente di Ragnarock, la lama messaggera dell’apocalisse: la falce sulla quale Ian si stava appoggiando infatti, era stata costruita con il legno di un albero sacro (l’unico scampato agli incendi durante la guerra di sterminio dei druidi ?!) e fondendo parte della lega della leggendaria spada con frammenti del martello di Thor (wtf ?!). Con dei genitori tanto illustri era ovvio che la falce possedesse una sua spiccata personalità. Non amava chiacchierare con il suo proprietario come sua madre, ma non era neanche muta come quel freddo monolite del padre, da cui aveva ereditato tutta la sua durezza. No, Mörsichel preferiva comunicare in modo più sofisticato: quando voleva qualcosa inviava ad Ian immagini e chiari segnali mentali, quando si sentiva in pericolo aumentava improvvisamente il proprio peso e quando era serena vibrava ronzando soddisfatta, come stava facendo ora, felice di aver aiutato il suo padrone a compiere un’altra strage. Erano fatti l’uno per l’altra: quando si parla di armi leggendarie non bisogna mai scordare che sono proprio queste ultime a scegliere il loro proprietario, così Ian riceveva spesso tributi d’amore mentali da parte della sua falce, l’arma che gli aveva salvato la vita innumerevoli volte. Ma se Morsichel è parte della leggenda il suo proprietario non è da meno: Ian si è sempre battuto per non essere un semplice strumento manovrato dalla forza ultraterrena che anima la sua arma. Ian ama definirsi un domatore, colui che ha sottomesso e ridotto all’obbedienza la più mortifera delle lame.
Ian aveva solo 19 anni quando la sua strada e quella di Morsichel si erano incontrate, ma già allora le sue spalle erano abbastanza larghe da sopportare lo sconvolgimento che ne sarebbe derivato. Ian allora non aveva questo nome, anzi non ne aveva affatto: nel villaggio in cui viveva chi non aveva un padre non aveva diritto ad essere nominato in alcun modo. Inoltre Ian era un diverso: nel borgo di uomini dalla pelle scura, con gli occhi dello stesso nero spento, capelli e barba un unico groviglio corvino, Ian spiccava per la sua carnagione chiarissima. Come se ciò non bastasse i lunghi capelli dai riflessi castani e soprattutto gli occhi di un verde intenso erano completamente alieni nel villaggio di minatori dove aveva avuto la sfortuna di nascere. Quelli che altrove sarebbero stati immediatamente riconosciuti come segni di innegabile bellezza, lì a *ç@#+ erano visti solo come un errore della natura e guardati con sospetto. Soprattutto quegli occhi chiari che avevano fama di cambiare colore al mutare del tempo: quando le vecchie del villaggio se ne accorsero lui era solo un ragazzino, ma l’accusa di essere uno stregone gli diede non pochi problemi a trovarsi un lavoro. Niesohn lavorava da quando aveva memoria, prima come schiavo presso la famiglia proprietaria delle miniere dove lavoravano tutti gli uomini del villaggio, poi a 15 anni, quando il suo aspetto aveva iniziato a suscitare le occhiate languide della figlia del padrone, il ragazzo era stato cacciato e costretto a rovinarsi la salute scavando tutto il giorno nelle viscere della terra, dove a causa della polvere i suoi occhi erano tanto arrossati da non lasciarne distinguere il colore e la sua pelle era scura come quella di tutti gli altri. 4 anni di quella vita consumante e Morsichel si sarebbe violentemente introdotta con le sue mortifere falciate nella sua realtà quotidiana.
Quando la falce era particolarmente di buon umore, come una sposina amava ricordare al suo uomo il modo in cui le loro vite si erano unite. Ora, dopo l’inferno che avevano scatenato, la sua soddisfazione era al culmine e lo dimostrava inviando ad Ian immagini del loro primo incontro. Niesohn aveva appena finito il turno più lungo ed estenuante della sua vita alla miniera e se ne stava ritornando mestamente verso il villaggio, diretto al tugurio fatiscente che da qualche tempo si era trovato a chiamare casa. Non si accorse subito che c’era qualcosa di diverso nell’aria: la stanchezza fisica e il vuoto mentale che una vita di sofferenze gli avevano imposto lo avevano come anestetizzato, reso insensibile ad ogni nota di possibile cambiamento. Ma quando trovò deserta la strada verso la sua tana, proprio nell’ora in cui tutti gli uomini ritornavano dal lavoro, e le madri chiamavano i loro figli a casa per la cena Niesohn realizzò di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito. Il villaggio lo aspettava completamente deserto e silenzioso, le porte aperte delle case mostravano interni bui, e vuoti. Poi il suo piede scalzo finì in un avvallamento del selciato e quando lo sentì bagnato e si piegò a guardare vide le sue dita sporche di una sostanza vischiosa… del colore acceso del sangue appena disperso. Guardandosi intorno scorse in ogni scolo di ogni vicolo , tra le pietre dell’acciottolato minuscoli rivoli di sangue che si allungavano oziosamente.
Niesohn corse verso la piazzetta al centro del villaggio, il punto più alto, dove le grandi case ammassate le une sulle altre intorno alla fontana pubblica, appartenenti ai pochi benestanti arricchitisi coi proventi della miniera, avevano reso la zona labirintica e poco luminosa. Dopo l‘ennesima scorciatoia tra i vicoli il ragazzo sbucò esattamente di fronte alla fontana. Ad una prima occhiata non la riconobbe: la vasca dei suoi ricordi, sovrastata da statue e rubinetti, aveva assunto nella luce della sera una forma enorme e spaventosa, parti contorte sporgevano dove prima non c’erano, cumuli che non riuscì ad identificare si ammassavano e si fondevano tutto intorno, formando una piramide deforme e grottesca. Dalla cima di quelli che il giovane avvicinandosi riconobbe come i corpi smembrati dei suoi compaesani, gli sorrideva scintillando una grande falce, conficcata nel mezzo del mucchio.
In quel momento Niesohn non provò nulla. Non dolore per quella gente che comunque non lo aveva mai trattato come un essere umano, non ribrezzo per quello scenario rivoltante, ne paura per la presenza tangibile di qualcosa di potente e incredibilmente malvagio. Il ragazzo si limitò a guardare sorpreso i riflessi che i raggi del sole morente lanciavano sulla scena specchiandosi sulla lama di Morsichel.