Tap tap tap qualcuno sta correndo per un lungo e buio corridoio. La ragazza inciampa e scivola, sono in molti ad inseguirla e i vecchi muri rimandano l'eco di mille passi, ma l’unica cosa che lei sente è la paura, che le romba nelle orecchie. Qualcun altro, chiuso dietro ad una porta lontana sta urlando con tutto il fiato che ha in corpo, lei sente, ma non può fare niente, può solo continuare a scappare…finalmente ha raggiunto le vecchie scale antincendio, buie e strette, si affacciano direttamente sul vuoto... nessuno passa lì da anni. Senza neanche rallentare, percorre gli scalini di volata, saltandone alcuni per fare più in fretta, ma un gradino cede, la caviglia non la regge e la ragazza si ritrova a precipitare nel buio. Aaaaaaaaaaaaaaarghhhhhhh!
Ci aveva messo qualche secondo a capire che cosa ci faceva nel suo letto, si era girata attorno in un bagno di sudore, cercando di intravedere attraverso il buio se si trovava davvero nella sua cameretta o in quel luogo tetro, che pure le sembrava di conoscere... ora sapeva che la ragazza che correva disperatamente era lei ma il sogno già sfumava nei suoi ricordi, lasciandole solo addosso un senso di vago terrore. Guardò la sveglia, erano le 7 e 17 minuti: tra poco si sarebbe dovuta alzare, ma aveva ancora tempo per riordinare le idee e cercare di ricord...zzzzzz...
Le piaceva cercare di ricordare tutti i sogni che faceva, le piaceva soprattutto quando all'improvviso, nel corso della giornata ,un odore, un suono particolare le dava quello strano senso di deja-vu... Era qualcosa che le succedeva spesso ultimamente, soprattutto quando era a scuola. Ed ogni volta, dopo qualche secondo in cui se ne stava assorta nei suoi pensieri, le sue amiche la vedevano sollevare improvvisamente la testa con un -"Ah! ma certo!"- ed ogni volta lei doveva spigare a tutte che quella notte aveva avuto la stessa identica sensazione in un sogno. Ormai era divenuta un caso nel suo liceo. Una volta una ragazzetta che non aveva mai visto si era presentata nella sua classe durante l'intervallo, per sapere se lei poteva predire come sarebbe finita la storia con il suo ragazzo. Il tutto si era sgonfiato in breve tempo, quando la gente aveva capito che non era in grado di predire un bel niente e che i suoi sogni, anche quando se li ricordava, erano poco più di profumi e sensazioni tattili, che non era in grado di interpretare.
Questa volta però era diverso, aveva sognato un luogo reale, (anche se ancora non lo aveva riconosciuto) ed una persona reale (lei stessa), anzi no, due persone reali: la voce che urlava, tanto acuta e distorta dal terrore che non avrebbe saputo dire se si trattava di quella di un maschio o di una femmina. Si bhè questa volta sarebbe stato diverso se lei non si fosse addormentata subito dopo essersi ripresa dallo spavento. E doveva essere stato uno spavento bello grosso se le aveva messo tanta stanchezza addosso da farla dormire come un sasso fino alle 7 e 50.
I suoi, preoccupandosi di non sentire loro figlia che correva tra il bagno la camera e la cucina per la ressa quotidiana che precedeva l' andare a scuola della loro "bambina" ( ma si può a 17 anni essere ancora chiamata bambina dai propri vecchi?!) aprirono l'inviolabile portale che conduceva al rifugio segreto della bella addormentata, e non bastò accendere tutte le luci ed aprire la finestra per farla svegliare. Ricorsero quindi alla tattica, davvero meschina, di tirarle via di dosso le coperte e con un salto la nostra protagonista si trovò a correre in bagno, senza il tempo di scandagliare la sua faccia in cerca di brufoli inesistenti, come faceva ogni mattina, ne il tempo di fare colazione e neanche quello di preparare lo zaino per bene. Così quando prese al volo l'ultimo autobus si accorse di aver dimenticato a casa l'astuccio, i soldi per la merenda, ed un paio di libri. Arrivò in classe con solo 5 minuti di ritardo, un istante prima che entrasse quella vecchia ciabatta della prof di francese. Il resto della mattinata procedette come sempre: la classe sonnecchiava con i prof noiosi, salvo svegliarsi sporadicamente per ridere a qualche battuta e ripiombare poi nel solito limbo. Durante la ricreazione dovette per forza alzarsi ed accompagnare le sue amiche in bagno, a truccarsi, che si sà, è attività di gruppo. La scuola quella mattina aveva un che di insolito per lei, e sapeva che di lì a poco sarebbe arrivata a riconoscere di aver già sentito l'odore del disinfettante per pavimenti, o il ruvido della ringhiera delle scale in un qualche suo sogno, ma, quando stava per arrivare alla conclusione dell' enigma, veniva sempre interrotta dal chiacchiericcio delle compagne. Una di loro stava intrattenendo le altre con la storia di un tizio dello scientifico, che erano giorni che non si faceva vivo ne a scuola ne a casa, ed i suoi pensavano di rivolgersi a "chi l'ha visto" per ritrovarlo ...
La mattinata riprese appena un pò meno sonnolenta di prima: presto i suoi polsi divennero doloranti a forza di prendere appunti dalla voce monocorde di un prof esigente, e poi iniziarono a bruciarle gli occhi, cercando di decifrare alla lavagna la scrittura della prof di inglese, con la mania degli schemi. Quando arrivò finalmente il momento di raccogliere tutto il materiale, scolastico e non, che aveva sparso intorno a se durante le sei ore, alzando gli occhi, vide alla lavagna la scritta "Oggi ore 19, ritrovo di tutti i rappresentanti di classe per decidere dell'assemblea di istituto". Gemette piano tra se e se. Come unica rappresentante (l'altra era malata) quella sera doveva tornare di nuovo a scuola. Probabilmente gli altri rappresentanti ci avrebbero messo secoli per mettersi d'accordo su questioni inutili, e le sarebbe toccato anche tornare a casa tardi e a piedi, col freddo che faceva. "Perchè avranno scelto un orario tanto assurdo?" pensava tra se mentre si infilava sull'autobus per casa e si sedeva con rabbia, occupando senza saperlo il posto che aveva puntato una vecchietta. Così dopo aver pranzato e visto i suoi cartoni animati preferiti (si perchè sono in pochi ad ammetterlo, ma il dopo pranzo è tassativamente l'ora dei cartoni), dopo essere stata a ginnastica ed aver dato appena un'occhiata ai compiti per il giorno dopo, le toccò prendere di nuovo l'autobus. Si trovò davanti una scuola piuttosto spettrale.Il grande e brutto edificio in periferia era completamente immerso nel buio e circondato dagli alti alberi del giardino, che d'inverno s'allungavano sempre sinistri e trascurati. Da qualche parte nel profondo della sua mente cercò di farsi strada il pensiero di quanto fosse strano che nessuna delle finestre mostrasse una luce accesa. Ma l'idea restò sommersa dalla preoccupazione di dover affrontare ore di dibattiti inconcludenti e dalla determinazione che doveva usare per convincersi a continuare a camminare attraverso il cortile, contro il vento. Il portone era socchiuso e l'ingresso era illuminato solo dalla luce della luna. Dal piano terra, dove si trovava, salì le scale per il primo piano, quello con la sala delle riunioni. Finalmente incominciò a stupirsi del fatto che la scuola fosse immersa nel più assoluto silenzio, e che anche la bidelleria e la segreteria erano del tutto deserte. Fece il giro del piano per sicurezza, e tornò anche nella sua classe per rileggere la scritta sulla lavagna, che però trovò completamente pulita. Poi il lampo di genio. Quel giorno era giovedì. Di giovedì non si possono fare riunioni serali, perchè il personale scolastico presta servizio solo la mattina. Furiosa con se stessa per essersi fatta abbindolare da uno scherzo tanto stupido e meditando vendetta nei confronti di una sua compagnia che si credeva tanto divertente quando faceva scherzi del genere, prese a scendere in tutta fretta le scale, sperando che non fosse ancora passato l'ultimo autobus... quando lo sentì.Un urlo disperato e lontano, subito soffocato a forza. Rimase interdetta, col piede sollevato a metà sull'ultimo scalino della prima rampa, i muscoli tesi e tutti i sensi all'erta, cercando di convincersi che era solo suggestione, che se lo era immaginato, che aveva visto troppi film horror. Ma risentì dei rumori, stavolta erano risate, acute, isteriche ma anche divertite, e tonfi, tonfi sordi, come di un oggetto pesante sbattuto a terra con violenza. Si maledisse tra se per la sua curiosità, ma decise di tornare indietro. In compenso smise di inveire mentalmente contro la sua compagna, perchè ormai era quasi sicura che non si trattasse tanto di uno scherzo, quanto di qualcosa di grave, di cui non avrebbe dovuto venire a conoscenza. Più silenziosamente che potè ripercorse il tratto che aveva appena compiuto e si ritrovò nel corridoio del primo piano, cercando di individuale la provenienza delle voci, che ora si facevano concitate. Credette di aver trovato la fonte dei rumori nell'ultima stanza del piano, ma arrivata lì davanti comprese che le voci le sembravano tanto vicine per via dell'eco e che invece esse provenivano dal piano di sopra, dai bagni delle donne. Teoricamente quei bagni avrebbero dovuto essere chiusi perchè non erano ancora stati ultimati, ma nella scuola girava la voce che in qualche modo i ragazzi dell'ultimo anno si fossero procurati le chiavi e durante l'intervallo si trovassero lì per fumare o per fare le indicibili cose che facevano i ragazzi dell'ultimo anno. Ma le grida, le risate che sentiva, non sembravano quelle di una coppietta durante un incontro clandestino e neanche quella di due o tre sbandati che si passavano una siringa. I suoni avevano un che di cupo e acido, come un vento maligno che dalla luce accesa al piano di sopra spirasse attraverso le scale, fino a lei, che aspettava di trovare il coraggio di salire. Il tutto era ingrandito e distorto dall'eco formato dai soffitti alti del palazzotto vecchio-stile, per il totale di un effetto assurdamente agghiacciante.
Finalmente si decise a salire, spinta da neanche-lei-sapeva-cosa, e si fermò sull'ultimo gradino, separata solo da un muro dalla stanza infestata. Prese ad osservare, senza volerlo veramente, i giochi d'ombre proiettati dalla flebile luce di una lampadina, che rimandavano sul muro di fronte le sagome dei ragazzi, almeno una diecina, ne era certa, nello stanzone dissestato. Erano tutti in piedi, in un semicerchio quasi perfetto,attorno ad un'unica figura,piegata scompostamente, quasi acquattata contro il muro. Poi le sue orecchie iniziarono a percepire stralci di una conversazione:
"Ma guardalo, povero piccolo, non si regge più neanche in piedi, fa quasi tenerezza, no?" -
"Dovremmo pestarlo ancora un po'... Non sopporto il modo in cui ci guarda..." -
"Sei scemo? un'altro calcio come quello di prima e va a finire che questo stronzo ci rimane, io non voglio averci niente a che fare se c'è da farlo sparire..." -
"Ste, sei solo un buffone, non sei capace neanche di tenerlo a bada come si deve... è colpa tua se ieri stava per scappare no? se hai tanta paura che si sciupi, perchè non lo lasci libero, dopo che ha visto tutto quello che facciamo qui? Eh? non sarebbe una figata se tua madre scoprisse che ti fai..."
- "Battona del cavolo, perchè non pensi alla tua di madre, se sapesse che sei con noi invece che a ripetizioni di matematica.... che poi come fai ad avere i voti che hai se non hai mai aperto libro?" -
"Sei un leso! L-E-S-O! sei l'unico che non sa ancora che questo stronzetto per terra aveva anche beccato la Claudia chiusa qui dentro col prof"-
"Bhe almeno io mi faccio un bell'uomo, te invece Lu, ho visto come lo guardavi questo tappo sfigato, dimmi, cosa ci hai fatto quando era il tuo turno di sorvegliarlo, l'altrieri?"-
Si sentì gelare... non avrebbe mai immaginato che succedessero cose simili, non nella loro città tranquilla, non in quella scuola, non ragazzi e ragazze poco più grandi di lei... persone che era impossibile non conoscere, almeno di nome. Aveva riconosciuto la voce di Ilaria e Gabriele della 5 C, poi Stefano, Claudia e Luca del III D... erano figli di gente in vista, ma anche solo semplici studenti-vip, per il loro aspetto, per la loro intelligenza, per i loro soldi... li ascoltava solo da qualche secondo ma già sapeva che erano coinvolte le ultime classi di entrambi gli istituti...
E adesso? Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare. Naturalmente non poteva fare finta di niente, ed anche se una parte di lei l'avrebbe voluto, sapeva che non sarebbe mai riuscita a dimenticare ciò che aveva sentito. Si impose di ragionare con calma, ma la figura piegata a terra le metteva una certa ansia e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso... capì che la sua posizione scomposta era dovuta alle funi che si diramavano dalle caviglie, dai polsi e dalla vita di lui e che lo inchiodavano a dei ganci sul muro, come la vittima in un film horror di serie D. Ok inutile tentennare ancora, nel fondo del suo cuore aveva già deciso cosa fare: si sarebbe girata, avrebbe percorso più silenziosamente possibile tutte le scale fino all'uscita secondaria e sarebbe scappata in fretta verso il primo posto sicuro che avesse trovato, dal quale avrebbe poi chiamato la polizia. Quando stava finalmente per muoversi, qualcosa la inchiodò dov'era, un flash, no questa volta un'intuizione vera e propria, un lampo di chiarezza che le attraversò il corpo e la mente, e ricordò il sogno di quella notte, il sogno per intero, non solo un suo vago fantasma: la corsa, l'urlo, le scale, il vuoto. A quanto pare aveva avuto un vero sogno premonitore, e se lo ricordava... e stava per ignoralo.
Insomma, secondo ciò che aveva sognato, lei aveva tentato di salvare il ragazzo legato, ma era stata scoperta e, scappando dai suoi inseguitori, era precipitata dalle scale anti-incendio. O forse non aveva affatto tentato di salvarlo... se andandosene avesse fatto rumore si sarebbe ritrovata braccata da quei ragazzoni... e se correndo si fosse trovata davanti le scale antincendio come unica via di fuga... sarebbe davvero morta? Stava esitando alla grande, si, stava esitando per colpa di un sogno, un incubo vivido come non gliene erano mai capitati, ma pur sempre un sogno, una proiezione della mente...
Magari invece quel sogno non aveva nulla a che fare con ciò che stava vivendo in quel momento... e se la sera prima avesse solo mangiato troppo pesante?!
Scoprì di non avere più la forza di pensare, le sue ginocchia stavano cedendo, i muscoli erano tanto contratti che credeva che appena avesse cambiato posizione sarebbero esplosi in crampi ovunque...
Senza sapere ciò che faceva, con la mente completamente vuota si stupì di sentire la sua mano correre allo zaino, cercare freneticamente qualcosa, una cosa qualsiasi, e chiudersi sul vecchio astuccione pieno di penne colorate, che la accompagnava fin dalle medie. Lo estrasse in fretta e lo gettò più lontano che potè attraverso il corridoio buio, in direzione opposta alla sua. Sembrò che ci mettesse secoli a toccare terra, ma finalmente il vecchio astuccio andò a spiaccicarsi contro uno dei finestroni, producendo un rumore assordante nella scuola silenziosa, moltiplicato per mille dall'eco. Si riscosse e divenne finalmente cosciente di ciò che aveva fatto: aveva creato un diversivo. Nella stanza accanto calò il silenzio e le figure che prima si muovevano convulse, si bloccarono contemporaneamente, come se qualcuno avesse premuto "pausa" su tutta la scena. La figurina in terra alzò il capo lentamente, a fatica, ed il suo gesto parve riscuotere quello che sembrava il capo del gruppo, che senza aprire bocca uscì dalla stanza e le passò davanti, senza vederla. Il resto del gruppo, da bravi cagnoloni fedeli quali erano, seguirono il capo a ruota e lei li vide uno per uno illuminati dalla luce dello stanzone. Appena l'ultimo fu sfilato davanti a lei uscì dalla piena oscurità del cantuccio dove si era rifugiata, e consapevole che il tempo era contro di lei si fiondò nella stanza accanto. Non ebbe neanche il coraggio di guardare il ragazzo raggomitolato a terra, ma si concentrò sui nodi che lo tenevano legato. Solo quando questo, ancora pieno di stupore sussurrò -"Nikki!"- si decise a guardarlo in viso. Era Leo. "Il piccolo Leo", un'altra specie di celebrità in quell'istituto, ma con una fama diversa da quella dei suoi aguzzini. Un ragazzino appena più alto di lei (che diceva a tutti di essere alta un metro e 60 ma non ci arrivava neanche misurando l'antenna che certe mattine si formava da un ciuffo ribelle della sua frangetta) con la passione per la scrittura, e dei voti assurdamente alti, raggiunti senza il minimo sforzo. Nonostante avesse un anno meno di lei era già il redattore del giornalino di istituto ed un paio di volte aveva rischiato la sospensione perchè aveva pubblicato articoli diffamanti sui suoi compagni. A quanto pare questa volta aveva avuto intenzione di pubblicare qualcosa di troppo grosso. Era stupita che sapesse il suo nome, no anzi, che l'avesse chiamata nello stesso modo in cui le sue amiche le storpiavano il nome. "Nicole, " continuò lui, "c'è un taglierino sul davanzale...". Nicole non aveva bisogno di chiedere come facesse a sapere del taglierino, bastava guardarlo: era coperto di lividi e tagli, ed uno profondo sulla guancia, sembrava particolarmente recente. Tranciò di netto le pesanti funi che lo legavano e pensò confusamente che se lei avesse dovuto torturare qualcuno con uno strumento tanto affilato avrebbe finito per segare in due la sua vittima. Leo si reggeva in piedi a stento e quando si appoggiò a lei rischiarono di finire entrambi a terra. Nello stesso istante una parte della mandria fece ritorno alla stanzetta ed i due gruppi si trovarono faccia a faccia sullo stipite della porta. Il capo dei teppisti stringeva in mano il suo astuccio rosa schoking con i fiorellini e una minuscola parte di lei, quella non ancora paralizzata dalla paura si sentì una sciocca per aver usato un diversivo tanto stupido. Prima che potesse pensare qualcosa di sensato si sentì spingere di peso verso le scale, seguita a ruota da Leo che pur di andarsene sopportava anche di correre su una gamba slogata. La via per scendere le scale era bloccata dal resto del gruppo di teppisti, che a quanto pare,dopo aver sentito il rumore, avevano avuto il buonsenso di dividersi per cercare eventuali intrusi. Così furono costretti a schizzare verso il terzo piano dove però trovarono la porta per accedere al corridoio chiusa a chiave. Dovettero salire altre due rampe per il quarto piano quando ormai sentivano il branco di teppisti urlanti a pochi centimetri da loro. La porta del quarto piano si aprì e Nicole si catapultò fuori afferrando la maniglia, pronta a richiuderla appena fosse passato anche Leo. La sbattè esattamente in faccia a Francesco della 5A, lo stronzo che quando lei faceva il primo anno di asilo era stato il suo migliore amico, ed ora invece, ogni volta che la incrociava in corridoio non faceva che sussurrare all'orecchio cose cattive ai suoi amici, in modo che si mettessero a ridere appena lei passava. Non ebbe il tempo per godersi la rivincita, Leo la afferrò per braccio ed un pò spingendola un pò reggendosi a lei la stava conducendo verso le fine del corridoio. Nicole si bloccò all'improvviso. "D...Dove stiamo andando?"
-" le vecchie scale antincendio..."- rispose lui spazientito dal fatto che si fosse fermata tanto in fretta da fargli rischiare di cadere a faccia avanti."NO!!! non possiamo scendere di lì...sono vecchie e...e marce, è troppo pericoloso..." e, come se fosse la cosa più naturale del mondo " perchè non...prendiamo l'ascensore?!"-
Leo si girò a guardarla sconcertato, non capiva perchè stesse tremando in quel modo ne perchè avesse gli occhi sbarrati... pensò solo che forse quella ragazzina soffriva di vertigini. Oh cielo, non poteva aspettarsi di meglio da "Nicole la sensitiva" ma era troppo stanco e dolorante per preoccuparsene. La afferro per le braccia e la scosse: "E non pensi che sentiranno l'ascensore?! Li troveremo tutti in fila ad aspettarci a piano terra! Ragiona, cavolo! potrebbero staccare la corrente proprio mentre scendiamo e lasciarci precipitare! Con le scale abbiamo una possibilità! devi solo chiudere gli occhi e in un' istante saremo fuori di qui, non c'è altra via di..."
Ma Nicole era come paralizzata, le mani premute contro le orecchie per non sentire, ripeteva solo: "no no no! io là non ci vado, non voglio... ho solo 17 anni cacchio! Non ho neanche mai ricevuto il mio primo bac..." Leo usò le ultime forze che gli rimanevano per prenderla di peso e gettarla contro la porta delle scale antincendio. La vecchia serratura cedette e Nicole si ritrovò a percorrere al volo la prima rampa di scale decrepite che scricchiolavano orribilmente sotto il suoi piedi, saltando gradini e prendendo sempre più velocità senza possibilità di rallentare, con Leo che continuava a correre appoggiandosi a lei e a trascinarla giù. Non erano neanche arrivati all'altezza del terzo piano quando un gradino cedette ed il piede di Nicole, trovando il vuoto sotto di sè finì per sfracellarsi sul gradino successivo. La caviglia non la resse e senza più equilibrio Nicole si trovò ad appoggiare tutto il peso del suo corpo alla sottile ringhiera, che si spezzò di schianto. Davanti a lei vide solo vuoto e si ritrovò a pensare che tutta quella faccenda non avrebbe potuto concludersi in altro modo. Pensò che succedeva veramente come nei film, ed ora rivedeva tutta la sua vita, accelerata e rallentata insieme: quella volta che aveva scelto la maglietta sbagliata da mettere per una festa, e tutti l'avevano presa in giro, quell'altra volta in cui aveva fatto capire ad un tipo che le piaceva, ed aveva ricevuto in risposta una sonora risata, quella stessa mattina, che si era svegliata tardi per colpa del sogno del cavolo e tutti gli eventi della giornata che l'avevano condotta fino a quel momento... e Leo. E pensare che quando aveva creduto che la cosa migliore da fare in quella situazione fosse girare i tacchi e chiamare la polizia, si era bloccata proprio per evitare di finire così. Aveva pensato che, magari salvando la persona nella saletta delle torture, Qualcuno lassù in alto avrebbe capito che era una brava ragazza, e le avrebbe risparmiato quella fine. Che senso aveva avuto avvertirla che sarebbe morta, se non aveva potuto cambiare le cose? Forse l' unico scopo del suo sogno era stato mandarla a salvare Leo (questo spiegava la scritta sulla lavagna che aveva visto solo lei) ed ora che in qualche modo Nicole ci era riuscita, poteva anche morire... Almeno era morta facendo qualcosa di buono e Leo era davvero salvo, anche se malridotto, e sarebbe riuscito a scendere quelle scale maledette e a cercare aiuto, non era mica tanto stupido da cercare di salv..."-
Un braccio coperto di lividi si protese nel vuoto ed irruppe nel suo campo visivo, andando ad afferrarla per la vita con tanta forza che il flusso dei suoi pensieri ne risultò stroncato, come il suo respiro... e si ritrovò tra le braccia del ragazzo e poi ancora giù per le scale, ed in qualche modo seduta in un'autoambulanza, con Leo che la stringeva tanto forte da bloccarle la circolazione e non voleva saperne di farsi medicare le ferite. Poi lentamente Nicole tornò in sè, vide gli aguzzini di Leo portati via dalla polizia e vide il sollievo ed il sorriso sul volto di lui, sorriso che non riusciva a sparire neanche mentre raccontava ad i suoi genitori che era stato rinchiuso tre giorni a scuola perchè aveva visto alcuni suoi "compagni" più grandi, fare cose orribili, anche se mai tanto tremende quanto quelle che aveva subito lui. Ma ora stava bene. E si era girato verso di lei, e le parlava, anche se Nicole era troppo distratta dal pensiero di aver passato l'ultima mezz'ora tra le sue braccia per rispondergli. Ma il monologo di Leo stava prendendo una strana piega .
-"....certo che però quell' astuccio rosa con... cos'èrano? fiorellini??, cioè, era davvero...."-
-"Ehiiiii, ma che vuoi? ti ho salvato la vita, non criticare le mie cose...anzi, chissà se riescono a ritrovarlo..."-
-"Anchio ti ho salvato la vita, che credi? e poi sono ferito,ed i feriti hanno sempre ragione, punto. E se non era per me saresti ancora bloccata al quarto piano.Che scena, sembravi incantata! cos'è che dicevi? Ah si!"- ed imitando la sua voce -" nooo, sono troppo piccola e carina per morire e bla bla bla- "
-"Non ho mai detto niente del gen...- ma capì che non aveva senso obiettare. Si era appena resa conto che, se Leo ricordava tanto bene i suoi vaneggiamenti da portarla in giro, questo significava che stava per ricevere il suo primo bacio.
THE END ^.^
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