"C'era una volta un giovane e bellissimo principe, che era stato imprigionato nella torre più alta di un antico, spettrale, castello gotico dalla sua procace matrigna che, non essendo riuscita a sedurlo, aveva pensato bene di sequestrarlo e torturarlo finchè non avesse ceduto alle sue avances..."
Alice rilesse ciò che aveva appena scritto, e rimpianse di stare usando il suo portatile e non una macchina da scrivere, perchè tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere il foglio elettronico con quello che doveva essere l'incipit di un libro per bambini, appallottolarlo tra le sue mani e scagliarlo con tutta la forza che aveva il più lontano possibile.
Non riusciva a scrivere a comando, lo aveva sempre saputo. Non era forse questo il motivo per cui la sua piccola casa editrice era fallita e per cui ora si trovava a dover accettare stupidi lavori su commissione per sbarcare il lunario? Bene, e allora se lo sapeva perchè non si impegnava di più? perchè le venivano in mente solo idee stupide? La consegna a cui stava lavorando era semplice: 120 pagine carattere Times New Roman 14, che poi sarebbero passate tra le mani dei nuovi editori, che credevano in lei meno di quanto credessero nelle previsioni del tempo, e che in nome della "childhood edition" per cui lavoravano, avrebbero ridotto qualsiasi opera gli fosse pervenuta, anche fosse stata dello spessore di un Ulisse di Joyce, in un libro per bambini. Che senso aveva spremersi tanto allora? Bhe era semplice: voleva dimostrare che non era un fallimento, che non era una di quegli scrittori che riescono a partorire un unico libro con un discreto successo per poi ripiombare nel buio da cui erano appena usciti. Alice voleva far vedere ai suoi illustri colleghi che con il suo "After School Nightmare" (quasi un milione di copie vendute, tradotto in 5 lingue) non aveva detto tutto ciò che aveva da dire, che poteva ancora tirare fuori molti buoni libri dal suo cilindro magico. Peccato che non fosse davvero così. A soli 26 anni Alice aveva già assistito all’inarrestabile prosciugarsi della sua vena creativa, tanto che ora non era affatto certa di averne mai posseduta una. Di questo, lei dava la colpa all'ennesima relazione sbagliata, a quell'ennesimo stronzo che l'aveva fatta innamorare, per poi disfarsene, come ci si disfa di un fazzoletto di carta dopo essercisi soffiati il naso. Forse Alice era una di quelle ragazze che attiravano la sfiga. O forse al contrario Alice non attirava niente, lei la sfiga se la cercava, perchè era sempre meglio che starsene con le mani in mano ed aspettare. In effetti l'idea per il suo primo (e forse ultimo) libro di successo le era venuta così: più di 8 anni prima era incappata in una disavventura di quelle che avrebbero potuto essere senza ritorno, ma che fortunatamente si era risolta per il meglio. Aveva trovato la forza di ripensare a quell'esperienza, lavorandoci sopra a lungo e aggiungendo molto di inventato, per ricavarne una bella commedia fantasy-horror, che per qualche tempo era stata il giubilo della critica. La stessa critica, aveva identificato la giovane scrittrice nel personaggio di "Leo" il piccolo giornalista. Bhe chiunque avrebbe potuto scoprirlo anche solo confrontando la descrizione fisica che lei stessa aveva fatto di Leo nel suo libro con la sua: 1metro e 60 scarso, capelli castani fino alle spalle raccolti in un codino, frangetta ribelle occhi verdi: Leo c'est moi!. Alice si differenziava da Leo solo per gli 8 anni in più ed un bel paio di tette, che le erano esplose proprio mentre muoveva per le prime volte le mani sulla tastiera del computer. Cosa altro era cambiato in 8 anni? Quando aveva finito il liceo c'era stato il breve periodo del successo, con la gente che la fermava per strada, convegni, conferenze... e poi con i primi anni di università di nuovo calma piatta e oblio. Alice si era laureata e aveva investito i guadagni di After School nel progetto di una piccola casa editrice indipendente, che era miseramente fallita nel giro di un anno. Poi era iniziata la routine dei lavoretti saltuari, un articolo qua, una critica là, un racconto breve su una rivista di pettegolezzi ed ora era così che tirava avanti . Forse, pensava Alice, era il momento di cacciarsi di nuovo nei guai. Sicuramente ciò l'avrebbe aiutata a farle venire in mente qualche buona idea. Anzi, non importava neanche che fosse buona, ciò di cui aveva bisogno era una storia qualsiasi da scrivere, ed in fretta, prima che scadesse il temine stabilito dalla "childhood edition". Ai suoi sogni di gloria avrebbe pensato in seguito, dopo aver ricevuto l'assegno per il suo lavoro. Bene, deciso questo... non restava altro che imbattersi in un qualche casino. Quando andava al liceo non aveva bisogno di cercare lontano: bastava scrivere un articolo-denuncia sul giornalino della scuola per inimicarsi in un istante le ultime classi della scuola, i genitori degli alunni coinvolti, qualche professore e a volte anche il preside, preoccupato per il buon nome dell’istituto. Ed ogni volta erano cavoli amari: minacce, pestaggi, imboscate… se non fosse stata amica di parecchi membri della squadra di basket, sicuramente prima o poi si sarebbe ritrovata ad uscire di scuola in barella. Ma in qualche modo se l'era sempre cavata, ed era stupendo leggere la gratitudine negli occhi di tutti i suoi amici sfigatelli, ogni volta che i loro aguzzini dovevano passare un brutto quarto d'ora coi carabinieri, a causa di ciò che lei scriveva nei suoi articoli. Era così che si era fatta tanti più amici che nemici, cosa che continuava tuttora a stupire la mezza sociopatica che era in lei. Con alcuni di questi amici era ancora in contatto: Richy stava ancora sperperando i soldi di mammà nel tentativo di completare gli studi di medicina, Claudia era da poco riuscita ad ottenere il posto di maestra che aveva sempre sognato, e Freak gestiva quel malfamato bar in periferia... Ma certo, il bar di Freak! Cosa poteva esserci di meglio per raccattare qualche storia strana se non una bettola nella zona peggiore della città? Ok forse non era l'ambientazione ideale per una storia per bambini, ma meglio di niente! D’altronde se Tim Burton infila di continuo scheletri e cadaveri nei film Disney, perché lei non poteva inserire camionisti tatuati e donnine facili in una storia per bambini?! Così Alice si appoggiò la giacca sulle spalle, si infilò in fretta gli stivali e, senza neanche prendersi la briga di spegnere il computer, afferrò la borsa e si precipitò in strada. Fermò al volo un taxi e disse al conducente l’indirizzo dello squallido viale vicino al porto dove si trovava il bar di Freak. L’uomo la squadrò da capo a piedi e le chiese: “Ma ce li hai 18 anni? Lì non ti ci porto se non mi fai vedere un documento”. Alice sospirò e si mise a frugare nella sua borsa in cerca del portafoglio… ormai era abituata a quel trattamento a causa del suo aspetto e della sua statura, ed anche quando si truccava nel modo più pesante che poteva senza sembrare un travestito, la gente che non la conosceva le dava al massimo 21 anni. Porse la carta di identità al tassista che, come tutti quelli che prima di lui avevano visto quel documento, sgranò gli occhi leggendo il suo anno di nascita, e partì a razzo senza dire una parola.
La cosa buona di conoscere il barista di un locale è che non si avevano grane per quanto riguardava il controllo di routine dei documenti, pensò Alice, mentre scendeva le scale dell’ingresso sgangherato de “Il Buco”, nome quanto mai appropriato per il pub. Il locale appariva come un misto tra un garage ed una vecchia cripta, illuminato da neon che gettavano una luce squallida tutto intorno al lungo bancone malandato coperto da alcolici. Dietro il bancone la gigantesca mole di Freak sormontava gli avventori stravaccati sugli sgabelli, i quali si girarono tutti contemporaneamente verso l’ingresso appena Alice mise piede nel pub. Appena imbarazzata per quell’improvvisa attenzione, Alice filò dritta dietro al bancone dove Freak la stava già aspettando a braccia aperte.
Come accadeva sempre quando i due si incontravano, Alice si ritrovò sospesa a 50 centimetri da terra tra le braccia di quell’armadio che era la sua guardia del corpo più fidata quando faceva le superiori.
“Schizzetto! Ma non cresci mai?!”
“Ma io sono giusta! È il mondo che è troppo grande! Guardati! Quand’è che smetterai di essere così enorme?!”
“Ahahah, e te non hai ancora visto come è diventato mio fratello! Mi supera di 10 centimetri!”
“Allora preferisco non vederlo!”
Ridendo Freak diede un pugno al bancone che fece tremare tutte le bottiglie sugli scaffali, poi si informò sul motivo per cui la sua protetta si era imboscata nel suo poco raccomandabile pub.
“Ho bisogno di storie da raccontare” disse semplicemente Alice ed iniziò a guardarsi intorno attentamente. Dopo l’iniziale sorpresa per l’entrata di quella che sembrava una ragazzina, gli avventori erano tornati alle loro abituali attività: chi intorno al tavolo da bigliardo, chi intorno a due donne in tacchi a spillo e calze a rete, unici esemplari del sesso debole oltre ad Alice in tutto il locale, peraltro tanto tatuate ed imponenti da essere difficilmente riconoscibili come tali. La maggior parte dei clienti comunque era semplicemente persa nel proprio bicchiere.
Freak accolse l’affermazione di Alice con uno dei suoi ghigni: “se c’è qualcosa che qui non manca sono le storie!” vedi quel tipo laggiù con la barba e le treccine? È stato 10 anni in galera perché gestiva un giro di scommesse su combattimenti tra galli; quello depresso che esce dal bagno invece ha trovato la sua amante a letto con sua moglie, poveraccio; la ragazza che sta giocando a braccio di ferro con quell’energumeno in realtà sta solo fingendo di essere sul punto di perdere: ha vinto più vote il campionato nazionale e viene qui ogni giovedì per cercare avversari da sfidare, infatti è raro che le si avvicini qualcuno …
-Mhmm interessante…- disse Alice, -ma non hai qualcosa di davvero incredibile? Qualcosa di più misterioso?-
-Bhe, se sarai fortunata oggi potresti vedere la persona più strana che frequenta questo bar, ma devi aspettare ancora 5 minuti. Tieni d‘occhio la porta. -
-Cioè? C’è un cliente che si presenta sempre alla stessa ora? E chi è? Un maniaco? Un serial killer?!-
-Lo vedrai presto, se oggi si fa vivo- Detto questo Freak tornò a servire i clienti lasciando Alice a ribollire nella sua curiosità.
Appena l’orologio sopra al bancone segnò la mezzanotte il massiccio portone si aprì di scatto e si richiuse lentamente. Sulla buia scalinata, intento a scendere i gradini malridotti de “Il Buco” con la stessa grazia di uno che cammina sul tappeto rosso, c’era il ragazzo più bello che Alice avesse mai visto. I capelli neri, mossi, studiatamente spettinati, appena troppo lunghi per essere quelli di un bravo ragazzo, lasciavano intravedere la perfetta forma del viso sottile, ne troppo squadrato ne troppo rotondo, un naso che era un’opera d’arte e due labbra marcate, da modella per lucidalabbra. I jeans chiari, gli anfibi, la giacca di pelle nera, vestiti non certo d’alta classe, avvolgevano il suo corpo come il miglior lavoro di un famoso stilista. Alice si girò verso il barista con gli occhi che luccicavano dall’emozione: -“ma chi è? un attore famoso?”
-“No, è solo un cliente come gli altri. Anzi, peggio degli altri, la maggior parte delle volte entra e non prende nulla. Viene solo per attaccar briga con i peggiori avventori del bar, poi vanno fuori a sistemare i conti, che io non voglio risse qui dentro, ma nessuno è mai riuscito a vederlo battersi. Anzi, nessuno dei tizi con cui si è scontrato è mai tornato qui, forse per la vergogna di essere stato battuto da un ragazzino, non so. Lui invece dopo ogni rissa fa passare qualche giorno e poi rieccolo che torna a cercare guai, sempre alla stessa ora.”-
Durante il racconto di Freak il ragazzo si era guardato in torno, per poi sedersi nell’angolo più buio del locale, continuando a lanciare in giro occhiate annoiate. Alice capiva perché l’amico lo aveva chiamato “ragazzino”, a guardarlo bene non poteva avere più di 25 anni, ma la sua bellezza offuscava qualsiasi giudizio, avrebbe potuto benissimo averne solo 18. Si rese conto che lo stava fissando, solo quando l’oggetto della sua enorme curiosità, piantò gli occhi nei suoi, di rimando. Occhi chiari, stranamente visibili anche dall’angolo buio dove si trovava lo strano ragazzo. Alice si girò di soprassalto verso il bancone, arrossendo. Bevve un paio di sorsi dal cocktail che aveva ordinato, poi, incapace di trattenersi chiese all’amico: “ma… sai come si chiama?
Freak in risposta sgranò gli occhi accennando col mento a qualcosa dietro di lei. Ci volle un istante perché Alice capisse, giusto il tempo perché chi le era dietro le mettesse una mano sulla spalla e rispondesse alla sua domanda: -“Mi chiamo Lawrent”.
Alice si girò lentamente, sorridendo imbarazzata, al ragazzo che un istante prima era in fondo al locale. Lui la fissò senza ricambiare il sorriso, ma con un’espressione tra il sorpreso e lo scocciato, si sedette sullo sgabello di fianco al suo. -Ora, posso sapere il tuo nome, visto che tu conosci il mio?-
-A-Alice-, balbettò lei, mezzo strozzandosi con il suo cocktail.
-Alice- ripetè lui.- e cosa ci fa una come te in questo…ehm… posto?- continuò, muovendo una mano ad indicare il locale, con la stessa faccia a tratti sorpresa, a tratti scocciata.
Prima che Alice riuscisse a dar voce ai suoi pensieri, poco coerenti, Freak rispose per lei: -è qui per salutare me, siamo vecchi amici, perciò vedi di non darle fastidio, è chiaro?-
Alice sarebbe voluta sprofondare nel suo sgabello. Lawrent invece sorrise, un sorriso da fotomodello, che abbaiò completamente Alice e sembrò scuotere profondamente anche Freak che improvvisamente decise di allontanarsi dal bancone per riordinare il locale. Effettivamente era la prima volta che qualcuno lo vedeva sorridere, chi si sarebbe mai aspettato un tale sorriso angelico?! Lawrent riprese a fissare Alice negli occhi, la traccia del sorriso ancora viva sulle labbra, ma spenta negli occhi. -Alice, posso riaccompagnarti a casa?-
Stavolta Alice rischiò seriamente di affogare in quel poco che rimaneva del suo cocktail. Le aveva appena chiesto di andare a casa sua?! Era tramortita da tutti i sottointesi di quella proposta e non aveva la più pallida idea di cosa rispondere… Ma Lawrent non stava aspettando una risposta: prese il giubbetto di Alice e glielo mise sulle spalle, pagò il suo drink, e guidandola con una mano la accompagnò fuori dal locale. Alice lo seguì come in trance attraverso il parcheggio antistante “Il Buco” e poi nella sua macchina, una BMW scura vecchio modello. Alice non ricordava di aver mai aperto bocca per tutto il viaggio, eppure Lawrent si avviò a colpo sicuro verso la via dove Alice viveva e parchèggiò esattamente sotto il suo palazzo. La abbracciò distrattamente, sussurrandole “non avere paura” e quando la lasciò andare stringeva in mano le chiavi dell’appartamento di Alice, rubate con abilità da borseggiatore dalla tasca della sua giacca. Lawrent guidò Alice, sempre più imbambolata e confusa fuori dalla macchina, per gli scalini dell’ingresso del palazzo, in ascensore e nel suo appartamento, fino in camera.
…
Il giorno dopo Alice si svegliò di soprassalto al suono della sveglia, terribilmente debole e con un forte giramento di testa. Si alzo, e si infilò sopra al pigiama la prima maglia che trovò per combattere il gelo mattutino, accese il riscaldamento e preparò la colazione. Fece tutto questo in maniera automatica, la mente persa a rimuginare su un particolare che non riusciva ricollegare a nulla: un anello d’argento formato da due serpenti intrecciati. Su dove l’avesse visto o indosso a chi, buio totale. Quando tornò in camera per vestirsi si accorse che il computer era acceso. La pagina aperta era quella dove aveva salvato lo stupido inizio di quello che doveva essere il libro per bambini che le avevano commissionato. Solo che al posto delle tre righe che ricordava di aver scritto per scherzo, c’erano diverse pagine. Sorpresa, prese a leggere il documento che non ricordava affatto di aver scritto.
Indubbiamente, era un buon inizio. Oh no, era anche molto più di questo. Era coinvolgente e ben scritto, articolato, ma semplice da capire, interessante come uno di quei libri per ragazzi di cui sono fan anche i genitori. E, anche se non ricordava affatto come, lo aveva scritto lei. Non solo Alice non sapeva come c’era riuscita, ma non aveva neanche la minima idea del quando.
Un momento… cosa aveva fatto la sera precedente? L’ultima cosa che ricordava era la rabbia che aveva provato rileggendo le tre righe che aveva scritto dopo aver cenato. Come era possibile che non le venisse in mente altro? Cercò di ricucire il buco nella sua memoria pensando in modo pratico: non c’erano altre spiegazioni se non il fatto che lei fosse stata tutta la sera al computer, e poi, quando ormai doveva essere tardissimo, aveva finalmente avuto il lampo di genio che l’aveva costretta a scrivere di getto, per il resto della notte. Questo spiegava perché non si ricordava nell’atto di scrivere… Comunque sul fatto che quelle pagine fossero opera sua non c’era dubbio: era il suo stile quello che traboccava dalle pagine che stava leggendo… il suo stile dei bei tempi, quello godibile e divertente che l’aveva resa famosa… per qualche giorno.
Alice passò il resto della giornata a cercare di continuare il libro dal punto in cui doveva averlo lasciato la sera prima, ma ogni tentativo si rivelò inutile, proprio non sapeva cosa altro scrivere.
Ne diede la colpa alla stanchezza dovuta alla precedente notte insonne, quindi nel tardo pomeriggio decise di desistere e provare a dormire un po’. Quando si svegliò erano passate le nove di sera, ed il suo stomaco, digiuno dalla colazione, protestava allegramente. Decise di uscire, per rinfrescarsi le idee, cercare ispirazione e magari mangiare qualcosa. Una volta in strada, aveva tutta l’intenzione di avviarsi a piedi verso uno dei suoi pub preferiti quando un taxi si fermò frenando rumorosamente a pochi centimetri da lei. Alice fissò il tassista con la sua migliore occhiataccia, ma qualcosa in quel tizio le sembrò improvvisamente familiare e come in un deja-vu riconobbe il taxi come lo stesso che aveva preso la sera prima. Allora non era rimasta in casa tutta la sera a cercare di scrivere! Come poteva esserselo dimenticato? ma soprattutto, perché non ricordava dove era andata? Si rivolse direttamente all’autista: - Salve! Mi può portare dove sono stata ieri?
- Eh guardi il taxi è prenotato, ho ricevuto una chiamata da un signore di questo palazzo.
- Ah, si si, mio padre ha prenotato il taxi per me.
-Signorina, questo signore ha prenotato per lui, deve andare all’aeroporto e non nella bisca dove l’ho portata ieri.-
Alice si scusò imbarazzata e se ne andò in fretta, riflettendo furiosamente per scacciare la vergogna della sua pessima figura… una bisca? La sera precedente era stata in uno di quei squallidi club nella zona del porto? Ma questo non aveva senso! Non aveva mai messo piede in un locale malfamato a parte quello di…. Ah ma certo! Era stata a trovare Freak! Ora ricordava benissimo di aver deciso di andare a far visita all’amico sperando che egli avesse qualche storia interessante da raccontarle. Ma tra casa sua e “Il Buco” c’erano più di 5 km di distanza, come aveva fatto a tornare a casa? Non ricordava niente della serata, tantomeno di aver preso un altro taxi. Tutta questa faccenda stava diventando tanto complicata quanto assurda. Alice decise di andare fino in fondo alla questione, prese l’ultimo autobus per il porto, dove avrebbe chiesto direttamente a Freak. Ma quando fu al pub l’unica risposta che ottenne dall’ amico dopo avergli spiegato i suoi problemi di memoria, fu un’alzata di spalle: -mi dispiace tesoro, ma io ti ho perso di vista verso mezzanotte, non ho proprio idea di come tu abbia fatto a tornare a casa, pensa che ero anche arrabbiato perché te ne sei andata senza salutare. Dai non fare quella faccia, magari è solo da un po’ che non bevi ed il cocktail che ti ho fatto ieri ti ha annebbiato un po’. Avrai preso un taxi e sarai tornata a casa brilla e felice e lì avrai scritto il tuo bel racconto.-
- vorrei tanto che fosse così, ma c’è qualcosa che non torna… e poi non mi è mai successo di ubriacarmi con un cocktail… e comunque me lo ricorderei. No, tutta questa faccenda è troppo strana. Ma… la cucina è ancora aperta? Ho un certo languorino!-
Alice si sedette ad un tavolino vicino al bancone a mangiare l’hamburger e patatine che aveva ordinato continuando a rimuginare sui suoi ricordi mancanti. Era tanto concentrata che non vide la porta del locale aprirsi, il nuovo cliente entrare, e fermarsi dopo averla vista seduta al suo tavolo. Non avrebbe neanche notato la presenza inquietante che la stava fissando se questa non avesse di scatto appoggiato una mano al suo tavolo, una mano dalle dita bianche e affusolate, con le unghie smaltate di nero e che indossava sul medio un anello d’argento con due serpenti intrecciati.
Alice sussultò scendendo di schianto dalle nuvole e si decise ad alzare lo sguardo verso colui che la stava fissando tanto intensamente.
Lawrent. Questo nome le esplose in testa, certa che appartenesse al ragazzo che la stava fissando, anche se non era sicura di averlo mai incontrato prima. Si, avrebbe sicuramente ricordato di aver conosciuto qualcuno con una bellezza tanto abbagliante. Eppure questo tipo aveva qualcosa di familiare, molto familiare. Lo guardò mentre prendeva posto al suo tavolo, sulla sedia di fronte alla sua. -temevo proprio di trovarti qui, è per questo che oggi sono venuto prima- le disse, con un viso serissimo, neanche l’ombra di un sorriso.
Alice guardò l’orologio e pensò ad alta voce: -è vero, te arrivi sempre a mezzanotte.- Non aveva idea di come facesse a saperlo.
Lawrent annuì e sempre continuando a fissarla le chiese: -quanto ricordi di ieri sera?-
Alice ci pensò un istante. Si, ora ricordava Lawrent, ma ciò che riusciva a richiamare alla memoria era solo il suo ingresso nel pub il giorno prima, poi ricordava vagamente il fatto di aver parlato per qualche istante con lui al bancone… e niente altro. Glielo disse, sperando di ricevere spiegazioni.
Ma Lawrent invece scosse la testa e disse: -il tuo cervello è diverso dagli altri, basta poco per richiamare alla tua mente cose che avrebbero dovuto restare sopite per sempre. Sarebbe stato tutto più semplice se non avessi ricordato nulla.-
Qualcosa in quello strano discorso irritò Alice, forse il tono con cui il ragazzo l’aveva pronunciato, forse il fatto che non rispondeva a nessuna delle sue domande ma che anzi complicava solo le cose. Così si ritrovò ad alzare la voce mentre diceva : - che vuoi dire? Ho questo buco in testa… io devo ricordare! Non posso fare finta di niente! Te sai cosa mi è successo ieri, non è vero? Dimmelo, ora!-
Lawrent come risposta accennò al bancone dietro di se, dove non solo Freak ma anche gli altri clienti li stavano fissando. -Non qui- disse -se vuoi delle risposte dobbiamo andare dove saremo solo tu ed io, ed anche in questo caso non dipenderà da me quanto riuscirai a ricordare.-
Alice stava già preparandosi a rispondere con qualcosa di poco carino e femminile, ma invece di aprire bocca si ritrovò a sprofondare nello sguardo di ghiaccio del ragazzo. Sentì immediatamente l’urgente bisogno di distogliere lo sguardo e chiudere gli occhi.
Quando li riaprì Alice era sdraiata sul letto del suo mini appartamento e il display luminoso della sua sveglia che squarciava il buio della sua stanza, segnava la mezzanotte in punto.
-Hai aperto gli occhi, finalmente.- disse la sagoma seduta in fondo al suo letto. Ad Alice ci volle qualche secondo prima di realizzare chi avesse parlato.
-Lawrent! Come sei entrato qui? No, aspetta come some sono tornata a casa? Quando… cosa…
-Shhh, calmati Alice.- le rispose il ragazzo da un punto imprecisato vicino a lei -Ti spiegherò tutto, ma ho bisogno che tu mantenga la calma, altrimenti non ricorderai nulla di ieri notte e non crederai ad una parola di quello che dirò.-
Lawrent aveva acceso la lampada sul comodino ed ora era sdraiato di fianco a lei, la bella testa appoggiata sulla sua mano, i riccioli corvini dei suoi capelli sparsi sul cuscino. Era difficile temere qualcosa di tanto bello, ma nonostante questo Alice provava un’inquietudine profonda ogni volta che lo guardava negli occhi ed il peso di tutti i misteri che lo circondavano ed il fatto che fosse l’unico a sapere cosa stava succedendo contribuirono a farla sobbalzare quando Lawrent mosse una mano per scompigliarle i capelli.
- Non avere paura, Alice. Te l’ho detto anche ieri sera quando siamo venuti qui. Ricordi? Iniziamo da questo punto, ti va? Chiedimi quello che vuoi.-
Ascoltando la voce suadente di Lawrent i ricordi della sera prima cominciarono ad affluire lentamente alla memoria di Alice, che ora ricordava chiaramente di essere stata riaccompagnata a casa dal ragazzo. -Perché hai voluto portarmi a casa? Come facevi a sapere dove abito?-
- “Sei stata te. Ieri sera credevi che ti sarebbe piaciuto se ti avessi riaccompagnata a casa, così l’ho fatto.”
-“Ma io non l’ho mai detto! L’ho solo pensato per un istante!”- sbottò Alice, arrossendo.
-“Già“-
-“Mi stai dicendo che puoi leggere nel pensiero?”-
-“In realtà lo stai dicendo te!” -
- “Ma…è assurdo! Ok, allora secondo te…cosa sto pensando… ehm… ora?”-
-“ahah, divertente.”- Rispose Lawrent sogghignando -“Stai pensando alla vecchia pubblicità del Bacardi, quella con lo psicologo che chiede ad una ragazza stesa sul lettino di dire la prima cosa che le viene in mente e lei risponde “chocolate!” ed invece stava pensando ad una marea di… “
Alice era sbalordita. Il suo cervello non riusciva a reagire alla consapevolezza che tutto ciò che le passava in testa potesse essere esposto in quel modo. Provò a smettere di pensare, ma il pensare al nulla era pur sempre un pensiero… Confusa, l’unico modo che le venne in mente per evitare di fargli leggere i suo pensieri fu quello di incalzarlo con le domande, ma prima ancora che iniziasse a pronunciare: “Come ci riesci?” Lawrent le stava già rispondendo:
-“ sono nato con questa capacità. Conosci quella teoria secondo la quale gli esseri umani sfruttano solo un 10% del potenziale del loro cervello? Bhe a quanto pare in me c’è qualcosa che mi permette di sfruttarne una percentuale molto più ampia. Ma questo ha anche i suoi lati negativi… per nutrire una mente come la mia il cibo dei normali esseri umani non basta…”
Alice non sapeva più cosa pensare… quella conversazione non era solo strana ma stava diventando via via sempre più spaventosa… era comunque talmente assorta in quella assurda faccenda che non riuscì a trattenersi dal chiedere a Lawrent di spiegarsi meglio.
-“Oh, credevo ci fossi arrivata.”- Le rispose Lawrent sorpreso. -“Chi credi ti abbia dato quel morso?”-
-“Eh? Quale morso?”-
-“Stai scherzando? Vuoi dire che non te ne eri accorta?!”-
-“ No… io…”-
-“Dovresti avere più cura del tuo corpo… ieri ti sei svegliata con la pressione bassissima, non è così? Davvero non ti sei chiesta da cosa dipendesse?”
Qualcosa scattò nella mente di Alice, che iniziò a tastarsi il collo, assorta, per poi correre in bagno davanti allo specchio. -“Qui non c’è nessun morso!” Urlò a Lawrent rimasto in camera.
-“Quello dei morsi sul collo è solo un clichè letterario e cinematografico…”- La voce di Lawrent era passata dallo stupore all’ilarità… per poi finire la frase in un tono di macabro sarcasmo:
- “quando disponi di una ragazza inerme ci sono posti molto più interessanti dove mordere…”
Alice in preda ad un terrore rabbioso iniziò a controllare furiosamente il suo corpo alla ricerca di qualsiasi anomalia… finchè non trovò sulla scollatura un livido con i segni di un morso, proprio in corrispondenza di una vena. Qualcosa a cui, in un giorno qualsiasi, non avrebbe fatto neanche caso, sbadata come era . Alice afferrò le prime cose che le capitarono a tiro e corse in camera cercando di colpire il ragazzo mentre urlava : -“Tu, schifoso bastardo… sei un mostro!”
Lawrent si fece scuro in volto, come se non si aspettasse una simile reazione. Poi le parlò con la sua migliore voce vellutata, enfatizzando ancora di più il suo tono tremendamente minaccioso, che fece rabbrividire Alice:
-“Non ti conviene insultarmi… Sai, leggere nel pensiero non è tutto ciò che so fare… ad esmpio non mi costerebbe nulla prendere completo controllo di qualsiasi meandro della tua mente! Posso modificare i tuoi pensieri, le tue sensazioni, persino i tuoi ricordi. Capisci cosa voglio dire? Se volessi potrei cancellare dalla tua testolina tutto ciò che è successo negli ultimi due giorni, ma potrei anche esagerare e prendermi per sbaglio anche i migliori momenti della tua infanzia, i volti dei tuoi amici… potrei farti scordare persino il tuo nome, se volessi. Non farmi arrabbiare Alice…”
Lei sconvolta si lasciò cadere al suolo. Chi avrebbe mai detto che qualcuno potesse minacciarla di rubarle cose tanto intangibili e preziose… non era disposta a vedere la sua mente cambiata e sconvolta, a perdere le immagini dei più bei giorni della sua vita… In ginocchio davanti all’estraneo che si era divertito a sconvolgerla non trovò la forza di ribattere, pensò di aspettare finchè non si sentisse pronta a rispondergli, ma la sua voce si era persa, sotto il peso della consapevolezza della gravità del momento. Così quando vide Lawrent alzarsi e voltarsi avvicinandosi alla porta, non mosse un muscolo per trattenerlo. La voce del ragazzo le giunse come se arrivasse da lontanissimo, ma nonostante lo stato di confusione mentale di Alice le parole di Laerent si impressero in lei come marchiate a fuoco:
-“Ti ho portata qui con l’intenzione di spiegarti, anche se in realtà credevo che avessi capito meglio la situazione in cui ti trovi… ormai, che tu lo voglia o no, sei entrata nella mia guerra, e ci sei dentro fino al collo… ma se sei tanto sconvolta da non riuscire a vedere da che parte sto non ha senso continuare a parlare… però sono certo che presto mi cercherai di nuovo, forse allora sarai più pronta ad ascoltare…”-
Alice non rispose. Tutto ciò che riuscì a fare fu alzare lo sguardo verso Lawrent, che le lanciò un ultima dura occhiata prima di lasciare la stanza. Da lì dove si era lasciata cadere sentì il suono del portone d‘ingresso che si chiudeva.
Quella notte Alice non chiuse occhio. L’idea di essere stata l’ostaggio di una creatura che poteva leggere nel pensiero, giocare con la mente e si nutriva di sangue umano non lasciava alcun posto al sonno. Quando ormai il sole era sorto da ore, l’unico pensiero che riuscì a consolarla fu che quell’essere non la voleva morta… aveva avuto più di un’occasione per farle davvero del male, ma non aveva voluto sfruttarla… pensando a questo, finalmente riuscì ad addormentarsi.
Aprì gli occhi verso mezzogiorno con la sensazione di aver appena avuto un incubo dal quale non riusciva a fuggire… quando fu completamente sveglia ricordò gli avvenimenti della notte precedente e capì che in realtà era la sua vita che negli ultimi giorni assomigliava sempre più ad un brutto sogno. Dopo un’abbondante colazione Alice decise che anche in questo caso avrebbe affrontato qualsiasi problema con il suo solito sistema: carta e penna. Si sedette alla sua scrivania e su un block notes annotò il nome di Lawrent, la sorgente di tutte le sue paure. Rimuginò un po’ su tutto ciò che quel ragazzo le aveva detto, sul mistero che circondava i suoi movimenti, e sul suo aspetto… cos’era esattamente Lawrent? La risposta era tanto ovvia quanto ridicola. Nonostante il suo scetticismo Alice disegnò una freccia che partiva da “Lawrent” e puntava su “vampiro”, da questa parola fece partire altre due fecce: una terminava con la parola “poteri”, l’altra con “sangue”. Sotto a questa scrisse il suo nome, che collegò con una freccia alla parola “guerra” che collegò anche a “Lawrent” e a “vampiro”. Eh già, da quello che ricordava Lawrent aveva parlato proprio di una “guerra“. L’inchiostro con cui aveva scritto quella parola sembrava più nero, quasi in rilievo sulla pagina del suo schema. Ciò parve suggerirle il seguente nesso: Lawrent stava combattendo contro qualcosa (contro se stesso in quanto vampiro, forse!?) e l’aveva trascinata a forza nello scontro, nonostante l’unica cosa che unisse lei ed il ragazzo fosse il suo sangue. Alice ci pensò un po’ sopra… ma più ci rifletteva più la connessione tra quei nomi sembrava farsi labile e perdere di senso. Decise di lasciar perdere e concentrarsi su un altro lato del suo schema. Sotto al suo nome scrisse “libro”, pensando alle misteriose pagine del racconto per bambini che non ricordava di aver scritto. A questo punto la sua penna tracciò automaticamente una connessione che ebbe parecchie difficoltà a spiegarsi razionalmente:
Alice ®libro ¬poteri ¬Lawrent.
E se quelle pagine inspiegabilmente belle fossero state frutto del potere di Lawrent? Che le avesse scritte lui di suo pugno era fuori discussione, lo stile era indiscutibilmente quello di Alice, ma… e se Lawrent pasticciando col suo cervello avesse involontariamente ritrovato per qualche ora la sua ispirazione che credeva perduta? Questo significava forse che l’unico modo per continuare il suo libro era rivedere l’essere che la terrorizzava?
Appallottolò il foglietto che aveva appena scritto e lo gettò a terra, mancando il cestino. Se non altro era riuscita a dare qualcosa di simile ad un senso alle poche informazioni che aveva, ma se si era augurata che la maggiore chiarezza riuscisse a liberarla almeno un po’ dalla paura, aveva davvero fatto male i suoi calcoli. In ogni caso adesso aveva abbastanza materiale per decidere cosa fare da ora in poi. Mentre pensava questo Alice sentì nascere in se una nuova determinazione: ormai era troppo coinvolta per fuggire, aveva troppo bisogno di scrivere quel libro per lasciare perdere. Se c’era il rischio di perdere la vita… bhe lo avrebbe corso, tanto non ci stava facendo comunque un gran chè . Non c’era altro modo… doveva rivederlo, per forza.
O forse è meglio dire che lei voleva rivedere Lawrent, e il prima possibile anche.
Alice rilesse ciò che aveva appena scritto, e rimpianse di stare usando il suo portatile e non una macchina da scrivere, perchè tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere il foglio elettronico con quello che doveva essere l'incipit di un libro per bambini, appallottolarlo tra le sue mani e scagliarlo con tutta la forza che aveva il più lontano possibile.
Non riusciva a scrivere a comando, lo aveva sempre saputo. Non era forse questo il motivo per cui la sua piccola casa editrice era fallita e per cui ora si trovava a dover accettare stupidi lavori su commissione per sbarcare il lunario? Bene, e allora se lo sapeva perchè non si impegnava di più? perchè le venivano in mente solo idee stupide? La consegna a cui stava lavorando era semplice: 120 pagine carattere Times New Roman 14, che poi sarebbero passate tra le mani dei nuovi editori, che credevano in lei meno di quanto credessero nelle previsioni del tempo, e che in nome della "childhood edition" per cui lavoravano, avrebbero ridotto qualsiasi opera gli fosse pervenuta, anche fosse stata dello spessore di un Ulisse di Joyce, in un libro per bambini. Che senso aveva spremersi tanto allora? Bhe era semplice: voleva dimostrare che non era un fallimento, che non era una di quegli scrittori che riescono a partorire un unico libro con un discreto successo per poi ripiombare nel buio da cui erano appena usciti. Alice voleva far vedere ai suoi illustri colleghi che con il suo "After School Nightmare" (quasi un milione di copie vendute, tradotto in 5 lingue) non aveva detto tutto ciò che aveva da dire, che poteva ancora tirare fuori molti buoni libri dal suo cilindro magico. Peccato che non fosse davvero così. A soli 26 anni Alice aveva già assistito all’inarrestabile prosciugarsi della sua vena creativa, tanto che ora non era affatto certa di averne mai posseduta una. Di questo, lei dava la colpa all'ennesima relazione sbagliata, a quell'ennesimo stronzo che l'aveva fatta innamorare, per poi disfarsene, come ci si disfa di un fazzoletto di carta dopo essercisi soffiati il naso. Forse Alice era una di quelle ragazze che attiravano la sfiga. O forse al contrario Alice non attirava niente, lei la sfiga se la cercava, perchè era sempre meglio che starsene con le mani in mano ed aspettare. In effetti l'idea per il suo primo (e forse ultimo) libro di successo le era venuta così: più di 8 anni prima era incappata in una disavventura di quelle che avrebbero potuto essere senza ritorno, ma che fortunatamente si era risolta per il meglio. Aveva trovato la forza di ripensare a quell'esperienza, lavorandoci sopra a lungo e aggiungendo molto di inventato, per ricavarne una bella commedia fantasy-horror, che per qualche tempo era stata il giubilo della critica. La stessa critica, aveva identificato la giovane scrittrice nel personaggio di "Leo" il piccolo giornalista. Bhe chiunque avrebbe potuto scoprirlo anche solo confrontando la descrizione fisica che lei stessa aveva fatto di Leo nel suo libro con la sua: 1metro e 60 scarso, capelli castani fino alle spalle raccolti in un codino, frangetta ribelle occhi verdi: Leo c'est moi!. Alice si differenziava da Leo solo per gli 8 anni in più ed un bel paio di tette, che le erano esplose proprio mentre muoveva per le prime volte le mani sulla tastiera del computer. Cosa altro era cambiato in 8 anni? Quando aveva finito il liceo c'era stato il breve periodo del successo, con la gente che la fermava per strada, convegni, conferenze... e poi con i primi anni di università di nuovo calma piatta e oblio. Alice si era laureata e aveva investito i guadagni di After School nel progetto di una piccola casa editrice indipendente, che era miseramente fallita nel giro di un anno. Poi era iniziata la routine dei lavoretti saltuari, un articolo qua, una critica là, un racconto breve su una rivista di pettegolezzi ed ora era così che tirava avanti . Forse, pensava Alice, era il momento di cacciarsi di nuovo nei guai. Sicuramente ciò l'avrebbe aiutata a farle venire in mente qualche buona idea. Anzi, non importava neanche che fosse buona, ciò di cui aveva bisogno era una storia qualsiasi da scrivere, ed in fretta, prima che scadesse il temine stabilito dalla "childhood edition". Ai suoi sogni di gloria avrebbe pensato in seguito, dopo aver ricevuto l'assegno per il suo lavoro. Bene, deciso questo... non restava altro che imbattersi in un qualche casino. Quando andava al liceo non aveva bisogno di cercare lontano: bastava scrivere un articolo-denuncia sul giornalino della scuola per inimicarsi in un istante le ultime classi della scuola, i genitori degli alunni coinvolti, qualche professore e a volte anche il preside, preoccupato per il buon nome dell’istituto. Ed ogni volta erano cavoli amari: minacce, pestaggi, imboscate… se non fosse stata amica di parecchi membri della squadra di basket, sicuramente prima o poi si sarebbe ritrovata ad uscire di scuola in barella. Ma in qualche modo se l'era sempre cavata, ed era stupendo leggere la gratitudine negli occhi di tutti i suoi amici sfigatelli, ogni volta che i loro aguzzini dovevano passare un brutto quarto d'ora coi carabinieri, a causa di ciò che lei scriveva nei suoi articoli. Era così che si era fatta tanti più amici che nemici, cosa che continuava tuttora a stupire la mezza sociopatica che era in lei. Con alcuni di questi amici era ancora in contatto: Richy stava ancora sperperando i soldi di mammà nel tentativo di completare gli studi di medicina, Claudia era da poco riuscita ad ottenere il posto di maestra che aveva sempre sognato, e Freak gestiva quel malfamato bar in periferia... Ma certo, il bar di Freak! Cosa poteva esserci di meglio per raccattare qualche storia strana se non una bettola nella zona peggiore della città? Ok forse non era l'ambientazione ideale per una storia per bambini, ma meglio di niente! D’altronde se Tim Burton infila di continuo scheletri e cadaveri nei film Disney, perché lei non poteva inserire camionisti tatuati e donnine facili in una storia per bambini?! Così Alice si appoggiò la giacca sulle spalle, si infilò in fretta gli stivali e, senza neanche prendersi la briga di spegnere il computer, afferrò la borsa e si precipitò in strada. Fermò al volo un taxi e disse al conducente l’indirizzo dello squallido viale vicino al porto dove si trovava il bar di Freak. L’uomo la squadrò da capo a piedi e le chiese: “Ma ce li hai 18 anni? Lì non ti ci porto se non mi fai vedere un documento”. Alice sospirò e si mise a frugare nella sua borsa in cerca del portafoglio… ormai era abituata a quel trattamento a causa del suo aspetto e della sua statura, ed anche quando si truccava nel modo più pesante che poteva senza sembrare un travestito, la gente che non la conosceva le dava al massimo 21 anni. Porse la carta di identità al tassista che, come tutti quelli che prima di lui avevano visto quel documento, sgranò gli occhi leggendo il suo anno di nascita, e partì a razzo senza dire una parola.
La cosa buona di conoscere il barista di un locale è che non si avevano grane per quanto riguardava il controllo di routine dei documenti, pensò Alice, mentre scendeva le scale dell’ingresso sgangherato de “Il Buco”, nome quanto mai appropriato per il pub. Il locale appariva come un misto tra un garage ed una vecchia cripta, illuminato da neon che gettavano una luce squallida tutto intorno al lungo bancone malandato coperto da alcolici. Dietro il bancone la gigantesca mole di Freak sormontava gli avventori stravaccati sugli sgabelli, i quali si girarono tutti contemporaneamente verso l’ingresso appena Alice mise piede nel pub. Appena imbarazzata per quell’improvvisa attenzione, Alice filò dritta dietro al bancone dove Freak la stava già aspettando a braccia aperte.
Come accadeva sempre quando i due si incontravano, Alice si ritrovò sospesa a 50 centimetri da terra tra le braccia di quell’armadio che era la sua guardia del corpo più fidata quando faceva le superiori.
“Schizzetto! Ma non cresci mai?!”
“Ma io sono giusta! È il mondo che è troppo grande! Guardati! Quand’è che smetterai di essere così enorme?!”
“Ahahah, e te non hai ancora visto come è diventato mio fratello! Mi supera di 10 centimetri!”
“Allora preferisco non vederlo!”
Ridendo Freak diede un pugno al bancone che fece tremare tutte le bottiglie sugli scaffali, poi si informò sul motivo per cui la sua protetta si era imboscata nel suo poco raccomandabile pub.
“Ho bisogno di storie da raccontare” disse semplicemente Alice ed iniziò a guardarsi intorno attentamente. Dopo l’iniziale sorpresa per l’entrata di quella che sembrava una ragazzina, gli avventori erano tornati alle loro abituali attività: chi intorno al tavolo da bigliardo, chi intorno a due donne in tacchi a spillo e calze a rete, unici esemplari del sesso debole oltre ad Alice in tutto il locale, peraltro tanto tatuate ed imponenti da essere difficilmente riconoscibili come tali. La maggior parte dei clienti comunque era semplicemente persa nel proprio bicchiere.
Freak accolse l’affermazione di Alice con uno dei suoi ghigni: “se c’è qualcosa che qui non manca sono le storie!” vedi quel tipo laggiù con la barba e le treccine? È stato 10 anni in galera perché gestiva un giro di scommesse su combattimenti tra galli; quello depresso che esce dal bagno invece ha trovato la sua amante a letto con sua moglie, poveraccio; la ragazza che sta giocando a braccio di ferro con quell’energumeno in realtà sta solo fingendo di essere sul punto di perdere: ha vinto più vote il campionato nazionale e viene qui ogni giovedì per cercare avversari da sfidare, infatti è raro che le si avvicini qualcuno …
-Mhmm interessante…- disse Alice, -ma non hai qualcosa di davvero incredibile? Qualcosa di più misterioso?-
-Bhe, se sarai fortunata oggi potresti vedere la persona più strana che frequenta questo bar, ma devi aspettare ancora 5 minuti. Tieni d‘occhio la porta. -
-Cioè? C’è un cliente che si presenta sempre alla stessa ora? E chi è? Un maniaco? Un serial killer?!-
-Lo vedrai presto, se oggi si fa vivo- Detto questo Freak tornò a servire i clienti lasciando Alice a ribollire nella sua curiosità.
Appena l’orologio sopra al bancone segnò la mezzanotte il massiccio portone si aprì di scatto e si richiuse lentamente. Sulla buia scalinata, intento a scendere i gradini malridotti de “Il Buco” con la stessa grazia di uno che cammina sul tappeto rosso, c’era il ragazzo più bello che Alice avesse mai visto. I capelli neri, mossi, studiatamente spettinati, appena troppo lunghi per essere quelli di un bravo ragazzo, lasciavano intravedere la perfetta forma del viso sottile, ne troppo squadrato ne troppo rotondo, un naso che era un’opera d’arte e due labbra marcate, da modella per lucidalabbra. I jeans chiari, gli anfibi, la giacca di pelle nera, vestiti non certo d’alta classe, avvolgevano il suo corpo come il miglior lavoro di un famoso stilista. Alice si girò verso il barista con gli occhi che luccicavano dall’emozione: -“ma chi è? un attore famoso?”
-“No, è solo un cliente come gli altri. Anzi, peggio degli altri, la maggior parte delle volte entra e non prende nulla. Viene solo per attaccar briga con i peggiori avventori del bar, poi vanno fuori a sistemare i conti, che io non voglio risse qui dentro, ma nessuno è mai riuscito a vederlo battersi. Anzi, nessuno dei tizi con cui si è scontrato è mai tornato qui, forse per la vergogna di essere stato battuto da un ragazzino, non so. Lui invece dopo ogni rissa fa passare qualche giorno e poi rieccolo che torna a cercare guai, sempre alla stessa ora.”-
Durante il racconto di Freak il ragazzo si era guardato in torno, per poi sedersi nell’angolo più buio del locale, continuando a lanciare in giro occhiate annoiate. Alice capiva perché l’amico lo aveva chiamato “ragazzino”, a guardarlo bene non poteva avere più di 25 anni, ma la sua bellezza offuscava qualsiasi giudizio, avrebbe potuto benissimo averne solo 18. Si rese conto che lo stava fissando, solo quando l’oggetto della sua enorme curiosità, piantò gli occhi nei suoi, di rimando. Occhi chiari, stranamente visibili anche dall’angolo buio dove si trovava lo strano ragazzo. Alice si girò di soprassalto verso il bancone, arrossendo. Bevve un paio di sorsi dal cocktail che aveva ordinato, poi, incapace di trattenersi chiese all’amico: “ma… sai come si chiama?
Freak in risposta sgranò gli occhi accennando col mento a qualcosa dietro di lei. Ci volle un istante perché Alice capisse, giusto il tempo perché chi le era dietro le mettesse una mano sulla spalla e rispondesse alla sua domanda: -“Mi chiamo Lawrent”.
Alice si girò lentamente, sorridendo imbarazzata, al ragazzo che un istante prima era in fondo al locale. Lui la fissò senza ricambiare il sorriso, ma con un’espressione tra il sorpreso e lo scocciato, si sedette sullo sgabello di fianco al suo. -Ora, posso sapere il tuo nome, visto che tu conosci il mio?-
-A-Alice-, balbettò lei, mezzo strozzandosi con il suo cocktail.
-Alice- ripetè lui.- e cosa ci fa una come te in questo…ehm… posto?- continuò, muovendo una mano ad indicare il locale, con la stessa faccia a tratti sorpresa, a tratti scocciata.
Prima che Alice riuscisse a dar voce ai suoi pensieri, poco coerenti, Freak rispose per lei: -è qui per salutare me, siamo vecchi amici, perciò vedi di non darle fastidio, è chiaro?-
Alice sarebbe voluta sprofondare nel suo sgabello. Lawrent invece sorrise, un sorriso da fotomodello, che abbaiò completamente Alice e sembrò scuotere profondamente anche Freak che improvvisamente decise di allontanarsi dal bancone per riordinare il locale. Effettivamente era la prima volta che qualcuno lo vedeva sorridere, chi si sarebbe mai aspettato un tale sorriso angelico?! Lawrent riprese a fissare Alice negli occhi, la traccia del sorriso ancora viva sulle labbra, ma spenta negli occhi. -Alice, posso riaccompagnarti a casa?-
Stavolta Alice rischiò seriamente di affogare in quel poco che rimaneva del suo cocktail. Le aveva appena chiesto di andare a casa sua?! Era tramortita da tutti i sottointesi di quella proposta e non aveva la più pallida idea di cosa rispondere… Ma Lawrent non stava aspettando una risposta: prese il giubbetto di Alice e glielo mise sulle spalle, pagò il suo drink, e guidandola con una mano la accompagnò fuori dal locale. Alice lo seguì come in trance attraverso il parcheggio antistante “Il Buco” e poi nella sua macchina, una BMW scura vecchio modello. Alice non ricordava di aver mai aperto bocca per tutto il viaggio, eppure Lawrent si avviò a colpo sicuro verso la via dove Alice viveva e parchèggiò esattamente sotto il suo palazzo. La abbracciò distrattamente, sussurrandole “non avere paura” e quando la lasciò andare stringeva in mano le chiavi dell’appartamento di Alice, rubate con abilità da borseggiatore dalla tasca della sua giacca. Lawrent guidò Alice, sempre più imbambolata e confusa fuori dalla macchina, per gli scalini dell’ingresso del palazzo, in ascensore e nel suo appartamento, fino in camera.
…
Il giorno dopo Alice si svegliò di soprassalto al suono della sveglia, terribilmente debole e con un forte giramento di testa. Si alzo, e si infilò sopra al pigiama la prima maglia che trovò per combattere il gelo mattutino, accese il riscaldamento e preparò la colazione. Fece tutto questo in maniera automatica, la mente persa a rimuginare su un particolare che non riusciva ricollegare a nulla: un anello d’argento formato da due serpenti intrecciati. Su dove l’avesse visto o indosso a chi, buio totale. Quando tornò in camera per vestirsi si accorse che il computer era acceso. La pagina aperta era quella dove aveva salvato lo stupido inizio di quello che doveva essere il libro per bambini che le avevano commissionato. Solo che al posto delle tre righe che ricordava di aver scritto per scherzo, c’erano diverse pagine. Sorpresa, prese a leggere il documento che non ricordava affatto di aver scritto.
Indubbiamente, era un buon inizio. Oh no, era anche molto più di questo. Era coinvolgente e ben scritto, articolato, ma semplice da capire, interessante come uno di quei libri per ragazzi di cui sono fan anche i genitori. E, anche se non ricordava affatto come, lo aveva scritto lei. Non solo Alice non sapeva come c’era riuscita, ma non aveva neanche la minima idea del quando.
Un momento… cosa aveva fatto la sera precedente? L’ultima cosa che ricordava era la rabbia che aveva provato rileggendo le tre righe che aveva scritto dopo aver cenato. Come era possibile che non le venisse in mente altro? Cercò di ricucire il buco nella sua memoria pensando in modo pratico: non c’erano altre spiegazioni se non il fatto che lei fosse stata tutta la sera al computer, e poi, quando ormai doveva essere tardissimo, aveva finalmente avuto il lampo di genio che l’aveva costretta a scrivere di getto, per il resto della notte. Questo spiegava perché non si ricordava nell’atto di scrivere… Comunque sul fatto che quelle pagine fossero opera sua non c’era dubbio: era il suo stile quello che traboccava dalle pagine che stava leggendo… il suo stile dei bei tempi, quello godibile e divertente che l’aveva resa famosa… per qualche giorno.
Alice passò il resto della giornata a cercare di continuare il libro dal punto in cui doveva averlo lasciato la sera prima, ma ogni tentativo si rivelò inutile, proprio non sapeva cosa altro scrivere.
Ne diede la colpa alla stanchezza dovuta alla precedente notte insonne, quindi nel tardo pomeriggio decise di desistere e provare a dormire un po’. Quando si svegliò erano passate le nove di sera, ed il suo stomaco, digiuno dalla colazione, protestava allegramente. Decise di uscire, per rinfrescarsi le idee, cercare ispirazione e magari mangiare qualcosa. Una volta in strada, aveva tutta l’intenzione di avviarsi a piedi verso uno dei suoi pub preferiti quando un taxi si fermò frenando rumorosamente a pochi centimetri da lei. Alice fissò il tassista con la sua migliore occhiataccia, ma qualcosa in quel tizio le sembrò improvvisamente familiare e come in un deja-vu riconobbe il taxi come lo stesso che aveva preso la sera prima. Allora non era rimasta in casa tutta la sera a cercare di scrivere! Come poteva esserselo dimenticato? ma soprattutto, perché non ricordava dove era andata? Si rivolse direttamente all’autista: - Salve! Mi può portare dove sono stata ieri?
- Eh guardi il taxi è prenotato, ho ricevuto una chiamata da un signore di questo palazzo.
- Ah, si si, mio padre ha prenotato il taxi per me.
-Signorina, questo signore ha prenotato per lui, deve andare all’aeroporto e non nella bisca dove l’ho portata ieri.-
Alice si scusò imbarazzata e se ne andò in fretta, riflettendo furiosamente per scacciare la vergogna della sua pessima figura… una bisca? La sera precedente era stata in uno di quei squallidi club nella zona del porto? Ma questo non aveva senso! Non aveva mai messo piede in un locale malfamato a parte quello di…. Ah ma certo! Era stata a trovare Freak! Ora ricordava benissimo di aver deciso di andare a far visita all’amico sperando che egli avesse qualche storia interessante da raccontarle. Ma tra casa sua e “Il Buco” c’erano più di 5 km di distanza, come aveva fatto a tornare a casa? Non ricordava niente della serata, tantomeno di aver preso un altro taxi. Tutta questa faccenda stava diventando tanto complicata quanto assurda. Alice decise di andare fino in fondo alla questione, prese l’ultimo autobus per il porto, dove avrebbe chiesto direttamente a Freak. Ma quando fu al pub l’unica risposta che ottenne dall’ amico dopo avergli spiegato i suoi problemi di memoria, fu un’alzata di spalle: -mi dispiace tesoro, ma io ti ho perso di vista verso mezzanotte, non ho proprio idea di come tu abbia fatto a tornare a casa, pensa che ero anche arrabbiato perché te ne sei andata senza salutare. Dai non fare quella faccia, magari è solo da un po’ che non bevi ed il cocktail che ti ho fatto ieri ti ha annebbiato un po’. Avrai preso un taxi e sarai tornata a casa brilla e felice e lì avrai scritto il tuo bel racconto.-
- vorrei tanto che fosse così, ma c’è qualcosa che non torna… e poi non mi è mai successo di ubriacarmi con un cocktail… e comunque me lo ricorderei. No, tutta questa faccenda è troppo strana. Ma… la cucina è ancora aperta? Ho un certo languorino!-
Alice si sedette ad un tavolino vicino al bancone a mangiare l’hamburger e patatine che aveva ordinato continuando a rimuginare sui suoi ricordi mancanti. Era tanto concentrata che non vide la porta del locale aprirsi, il nuovo cliente entrare, e fermarsi dopo averla vista seduta al suo tavolo. Non avrebbe neanche notato la presenza inquietante che la stava fissando se questa non avesse di scatto appoggiato una mano al suo tavolo, una mano dalle dita bianche e affusolate, con le unghie smaltate di nero e che indossava sul medio un anello d’argento con due serpenti intrecciati.
Alice sussultò scendendo di schianto dalle nuvole e si decise ad alzare lo sguardo verso colui che la stava fissando tanto intensamente.
Lawrent. Questo nome le esplose in testa, certa che appartenesse al ragazzo che la stava fissando, anche se non era sicura di averlo mai incontrato prima. Si, avrebbe sicuramente ricordato di aver conosciuto qualcuno con una bellezza tanto abbagliante. Eppure questo tipo aveva qualcosa di familiare, molto familiare. Lo guardò mentre prendeva posto al suo tavolo, sulla sedia di fronte alla sua. -temevo proprio di trovarti qui, è per questo che oggi sono venuto prima- le disse, con un viso serissimo, neanche l’ombra di un sorriso.
Alice guardò l’orologio e pensò ad alta voce: -è vero, te arrivi sempre a mezzanotte.- Non aveva idea di come facesse a saperlo.
Lawrent annuì e sempre continuando a fissarla le chiese: -quanto ricordi di ieri sera?-
Alice ci pensò un istante. Si, ora ricordava Lawrent, ma ciò che riusciva a richiamare alla memoria era solo il suo ingresso nel pub il giorno prima, poi ricordava vagamente il fatto di aver parlato per qualche istante con lui al bancone… e niente altro. Glielo disse, sperando di ricevere spiegazioni.
Ma Lawrent invece scosse la testa e disse: -il tuo cervello è diverso dagli altri, basta poco per richiamare alla tua mente cose che avrebbero dovuto restare sopite per sempre. Sarebbe stato tutto più semplice se non avessi ricordato nulla.-
Qualcosa in quello strano discorso irritò Alice, forse il tono con cui il ragazzo l’aveva pronunciato, forse il fatto che non rispondeva a nessuna delle sue domande ma che anzi complicava solo le cose. Così si ritrovò ad alzare la voce mentre diceva : - che vuoi dire? Ho questo buco in testa… io devo ricordare! Non posso fare finta di niente! Te sai cosa mi è successo ieri, non è vero? Dimmelo, ora!-
Lawrent come risposta accennò al bancone dietro di se, dove non solo Freak ma anche gli altri clienti li stavano fissando. -Non qui- disse -se vuoi delle risposte dobbiamo andare dove saremo solo tu ed io, ed anche in questo caso non dipenderà da me quanto riuscirai a ricordare.-
Alice stava già preparandosi a rispondere con qualcosa di poco carino e femminile, ma invece di aprire bocca si ritrovò a sprofondare nello sguardo di ghiaccio del ragazzo. Sentì immediatamente l’urgente bisogno di distogliere lo sguardo e chiudere gli occhi.
Quando li riaprì Alice era sdraiata sul letto del suo mini appartamento e il display luminoso della sua sveglia che squarciava il buio della sua stanza, segnava la mezzanotte in punto.
-Hai aperto gli occhi, finalmente.- disse la sagoma seduta in fondo al suo letto. Ad Alice ci volle qualche secondo prima di realizzare chi avesse parlato.
-Lawrent! Come sei entrato qui? No, aspetta come some sono tornata a casa? Quando… cosa…
-Shhh, calmati Alice.- le rispose il ragazzo da un punto imprecisato vicino a lei -Ti spiegherò tutto, ma ho bisogno che tu mantenga la calma, altrimenti non ricorderai nulla di ieri notte e non crederai ad una parola di quello che dirò.-
Lawrent aveva acceso la lampada sul comodino ed ora era sdraiato di fianco a lei, la bella testa appoggiata sulla sua mano, i riccioli corvini dei suoi capelli sparsi sul cuscino. Era difficile temere qualcosa di tanto bello, ma nonostante questo Alice provava un’inquietudine profonda ogni volta che lo guardava negli occhi ed il peso di tutti i misteri che lo circondavano ed il fatto che fosse l’unico a sapere cosa stava succedendo contribuirono a farla sobbalzare quando Lawrent mosse una mano per scompigliarle i capelli.
- Non avere paura, Alice. Te l’ho detto anche ieri sera quando siamo venuti qui. Ricordi? Iniziamo da questo punto, ti va? Chiedimi quello che vuoi.-
Ascoltando la voce suadente di Lawrent i ricordi della sera prima cominciarono ad affluire lentamente alla memoria di Alice, che ora ricordava chiaramente di essere stata riaccompagnata a casa dal ragazzo. -Perché hai voluto portarmi a casa? Come facevi a sapere dove abito?-
- “Sei stata te. Ieri sera credevi che ti sarebbe piaciuto se ti avessi riaccompagnata a casa, così l’ho fatto.”
-“Ma io non l’ho mai detto! L’ho solo pensato per un istante!”- sbottò Alice, arrossendo.
-“Già“-
-“Mi stai dicendo che puoi leggere nel pensiero?”-
-“In realtà lo stai dicendo te!” -
- “Ma…è assurdo! Ok, allora secondo te…cosa sto pensando… ehm… ora?”-
-“ahah, divertente.”- Rispose Lawrent sogghignando -“Stai pensando alla vecchia pubblicità del Bacardi, quella con lo psicologo che chiede ad una ragazza stesa sul lettino di dire la prima cosa che le viene in mente e lei risponde “chocolate!” ed invece stava pensando ad una marea di… “
Alice era sbalordita. Il suo cervello non riusciva a reagire alla consapevolezza che tutto ciò che le passava in testa potesse essere esposto in quel modo. Provò a smettere di pensare, ma il pensare al nulla era pur sempre un pensiero… Confusa, l’unico modo che le venne in mente per evitare di fargli leggere i suo pensieri fu quello di incalzarlo con le domande, ma prima ancora che iniziasse a pronunciare: “Come ci riesci?” Lawrent le stava già rispondendo:
-“ sono nato con questa capacità. Conosci quella teoria secondo la quale gli esseri umani sfruttano solo un 10% del potenziale del loro cervello? Bhe a quanto pare in me c’è qualcosa che mi permette di sfruttarne una percentuale molto più ampia. Ma questo ha anche i suoi lati negativi… per nutrire una mente come la mia il cibo dei normali esseri umani non basta…”
Alice non sapeva più cosa pensare… quella conversazione non era solo strana ma stava diventando via via sempre più spaventosa… era comunque talmente assorta in quella assurda faccenda che non riuscì a trattenersi dal chiedere a Lawrent di spiegarsi meglio.
-“Oh, credevo ci fossi arrivata.”- Le rispose Lawrent sorpreso. -“Chi credi ti abbia dato quel morso?”-
-“Eh? Quale morso?”-
-“Stai scherzando? Vuoi dire che non te ne eri accorta?!”-
-“ No… io…”-
-“Dovresti avere più cura del tuo corpo… ieri ti sei svegliata con la pressione bassissima, non è così? Davvero non ti sei chiesta da cosa dipendesse?”
Qualcosa scattò nella mente di Alice, che iniziò a tastarsi il collo, assorta, per poi correre in bagno davanti allo specchio. -“Qui non c’è nessun morso!” Urlò a Lawrent rimasto in camera.
-“Quello dei morsi sul collo è solo un clichè letterario e cinematografico…”- La voce di Lawrent era passata dallo stupore all’ilarità… per poi finire la frase in un tono di macabro sarcasmo:
- “quando disponi di una ragazza inerme ci sono posti molto più interessanti dove mordere…”
Alice in preda ad un terrore rabbioso iniziò a controllare furiosamente il suo corpo alla ricerca di qualsiasi anomalia… finchè non trovò sulla scollatura un livido con i segni di un morso, proprio in corrispondenza di una vena. Qualcosa a cui, in un giorno qualsiasi, non avrebbe fatto neanche caso, sbadata come era . Alice afferrò le prime cose che le capitarono a tiro e corse in camera cercando di colpire il ragazzo mentre urlava : -“Tu, schifoso bastardo… sei un mostro!”
Lawrent si fece scuro in volto, come se non si aspettasse una simile reazione. Poi le parlò con la sua migliore voce vellutata, enfatizzando ancora di più il suo tono tremendamente minaccioso, che fece rabbrividire Alice:
-“Non ti conviene insultarmi… Sai, leggere nel pensiero non è tutto ciò che so fare… ad esmpio non mi costerebbe nulla prendere completo controllo di qualsiasi meandro della tua mente! Posso modificare i tuoi pensieri, le tue sensazioni, persino i tuoi ricordi. Capisci cosa voglio dire? Se volessi potrei cancellare dalla tua testolina tutto ciò che è successo negli ultimi due giorni, ma potrei anche esagerare e prendermi per sbaglio anche i migliori momenti della tua infanzia, i volti dei tuoi amici… potrei farti scordare persino il tuo nome, se volessi. Non farmi arrabbiare Alice…”
Lei sconvolta si lasciò cadere al suolo. Chi avrebbe mai detto che qualcuno potesse minacciarla di rubarle cose tanto intangibili e preziose… non era disposta a vedere la sua mente cambiata e sconvolta, a perdere le immagini dei più bei giorni della sua vita… In ginocchio davanti all’estraneo che si era divertito a sconvolgerla non trovò la forza di ribattere, pensò di aspettare finchè non si sentisse pronta a rispondergli, ma la sua voce si era persa, sotto il peso della consapevolezza della gravità del momento. Così quando vide Lawrent alzarsi e voltarsi avvicinandosi alla porta, non mosse un muscolo per trattenerlo. La voce del ragazzo le giunse come se arrivasse da lontanissimo, ma nonostante lo stato di confusione mentale di Alice le parole di Laerent si impressero in lei come marchiate a fuoco:
-“Ti ho portata qui con l’intenzione di spiegarti, anche se in realtà credevo che avessi capito meglio la situazione in cui ti trovi… ormai, che tu lo voglia o no, sei entrata nella mia guerra, e ci sei dentro fino al collo… ma se sei tanto sconvolta da non riuscire a vedere da che parte sto non ha senso continuare a parlare… però sono certo che presto mi cercherai di nuovo, forse allora sarai più pronta ad ascoltare…”-
Alice non rispose. Tutto ciò che riuscì a fare fu alzare lo sguardo verso Lawrent, che le lanciò un ultima dura occhiata prima di lasciare la stanza. Da lì dove si era lasciata cadere sentì il suono del portone d‘ingresso che si chiudeva.
Quella notte Alice non chiuse occhio. L’idea di essere stata l’ostaggio di una creatura che poteva leggere nel pensiero, giocare con la mente e si nutriva di sangue umano non lasciava alcun posto al sonno. Quando ormai il sole era sorto da ore, l’unico pensiero che riuscì a consolarla fu che quell’essere non la voleva morta… aveva avuto più di un’occasione per farle davvero del male, ma non aveva voluto sfruttarla… pensando a questo, finalmente riuscì ad addormentarsi.
Aprì gli occhi verso mezzogiorno con la sensazione di aver appena avuto un incubo dal quale non riusciva a fuggire… quando fu completamente sveglia ricordò gli avvenimenti della notte precedente e capì che in realtà era la sua vita che negli ultimi giorni assomigliava sempre più ad un brutto sogno. Dopo un’abbondante colazione Alice decise che anche in questo caso avrebbe affrontato qualsiasi problema con il suo solito sistema: carta e penna. Si sedette alla sua scrivania e su un block notes annotò il nome di Lawrent, la sorgente di tutte le sue paure. Rimuginò un po’ su tutto ciò che quel ragazzo le aveva detto, sul mistero che circondava i suoi movimenti, e sul suo aspetto… cos’era esattamente Lawrent? La risposta era tanto ovvia quanto ridicola. Nonostante il suo scetticismo Alice disegnò una freccia che partiva da “Lawrent” e puntava su “vampiro”, da questa parola fece partire altre due fecce: una terminava con la parola “poteri”, l’altra con “sangue”. Sotto a questa scrisse il suo nome, che collegò con una freccia alla parola “guerra” che collegò anche a “Lawrent” e a “vampiro”. Eh già, da quello che ricordava Lawrent aveva parlato proprio di una “guerra“. L’inchiostro con cui aveva scritto quella parola sembrava più nero, quasi in rilievo sulla pagina del suo schema. Ciò parve suggerirle il seguente nesso: Lawrent stava combattendo contro qualcosa (contro se stesso in quanto vampiro, forse!?) e l’aveva trascinata a forza nello scontro, nonostante l’unica cosa che unisse lei ed il ragazzo fosse il suo sangue. Alice ci pensò un po’ sopra… ma più ci rifletteva più la connessione tra quei nomi sembrava farsi labile e perdere di senso. Decise di lasciar perdere e concentrarsi su un altro lato del suo schema. Sotto al suo nome scrisse “libro”, pensando alle misteriose pagine del racconto per bambini che non ricordava di aver scritto. A questo punto la sua penna tracciò automaticamente una connessione che ebbe parecchie difficoltà a spiegarsi razionalmente:
Alice ®libro ¬poteri ¬Lawrent.
E se quelle pagine inspiegabilmente belle fossero state frutto del potere di Lawrent? Che le avesse scritte lui di suo pugno era fuori discussione, lo stile era indiscutibilmente quello di Alice, ma… e se Lawrent pasticciando col suo cervello avesse involontariamente ritrovato per qualche ora la sua ispirazione che credeva perduta? Questo significava forse che l’unico modo per continuare il suo libro era rivedere l’essere che la terrorizzava?
Appallottolò il foglietto che aveva appena scritto e lo gettò a terra, mancando il cestino. Se non altro era riuscita a dare qualcosa di simile ad un senso alle poche informazioni che aveva, ma se si era augurata che la maggiore chiarezza riuscisse a liberarla almeno un po’ dalla paura, aveva davvero fatto male i suoi calcoli. In ogni caso adesso aveva abbastanza materiale per decidere cosa fare da ora in poi. Mentre pensava questo Alice sentì nascere in se una nuova determinazione: ormai era troppo coinvolta per fuggire, aveva troppo bisogno di scrivere quel libro per lasciare perdere. Se c’era il rischio di perdere la vita… bhe lo avrebbe corso, tanto non ci stava facendo comunque un gran chè . Non c’era altro modo… doveva rivederlo, per forza.
O forse è meglio dire che lei voleva rivedere Lawrent, e il prima possibile anche.
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